Welfare, la Camusso mette in difficoltà la sinistra

Welfare, la Camusso mette in difficoltà la sinistra

RomaLa Cgil scava la sua trincea contro il governo «supponente» e «autoritario», e alza la bandiera dell’articolo 18: «una norma di civiltà», dice Susanna Camusso. Visto che ai tempi di Cofferati era definita «diritto umano fondamentale», un piccolo passo avanti c’è stato, ma il «totem» resta. E l’avvertimento della Camusso al centrosinistra è chiaro: sulla riforma del lavoro non sono ammesse defezioni.
Per il Pd si apre una stagione più difficile ancora di quella vissuta con la manovra «lacrime e sangue», perché sulla riforma del lavoro si sta saldando alla sua sinistra un fronte compatto attorno alla Cgil: ieri Nichi Vendola ha incontrato i leader sindacali e ha minacciato «reazioni durissime» se si tocca l’articolo 18; mentre Tonino Di Pietro è già sulle barricate contro «l’attacco ideologico» allo statuto dei lavoratori. I sondaggi recenti, peraltro, danno un Pd che resta sì sopra al Pdl, ma perde consensi a favore di Sel, Idv e grillini.
Ma all’interno del Pd anche l’anima riformista (dai veltroniani ai lettiani all’area di Franceschini) è forte e ansiosa di alzare la testa, e vede proprio in questa battaglia l’occasione di un chiarimento interno, potenzialmente esplosivo. Chi fa i conti in casa Pd parla di più di 50 senatori (su 106) e un’ottantina di deputati (su 206), pronti a dar battaglia per una linea liberal, e per una rottura della storico rapporto da «cinghia di trasmissione» con la Cgil. Pier Luigi Bersani lo sa, e prende tempo: «Facciamoci il Natale e lasciamo stare l’articolo 18». E avverte la Fornero: con interviste come la sua «si complica tutto». Il segretario del Pd ha provato a mettere le mani avanti già nella dichiarazione di voto sulla manovra, spiegando che non è il momento di parlare di «come buttar fuori dal lavoro» la gente, ma anzi di come dare «maggiori tutele» a chi lavora. Un’affermazione tradotta dall’ala “laburista” vicina al segretario come uno stop al governo: il file «riforma del lavoro» non va aperto e basta, sostengono gli Stefano Fassina e gli Andrea Orlando. Mentre la Bindi, sempre pronta a posizionarsi dove spira il vento del consenso di sinistra, lancia avvertimenti al governo: «La priorità è creare posti di lavoro, non licenziare». Sul fronte opposto, il senatore Pietro Ichino, autore della proposta di «contratto unico» più flessibile che supera per i nuovi assunti l’articolo 18, sorride serafico: «Il governo e la forza delle cose spingeranno il Pd sulle mie posizioni».
Sarà così? I «Monti boys» del Pd spiegano che il governo, ascoltando i suggerimenti loro (e del capo dello Stato), ha una strategia ben precisa per disinnescare le mine più pericolose: Monti e Fornero convocheranno sindacati e parti sociali, spiegheranno che la riforma del lavoro va fatta perché è uno degli impegni presi con la Ue e chiederanno loro di fornire una ricetta che risponda alle esigenze europee. A quel punto saranno Cgil, Cisl e Uil a dover venire allo scoperto con le loro proposte, se riusciranno a trovarne una. Parallelamente, lavorerà sul dossier liberalizzazioni: «Se il governo darà un duro colpo a monopoli e oligopoli, a partire da energia, trasporti e ordini professionali, sarà più facile affrontare anche quel pezzo da museo delle cere dell’articolo 18», dice Francesco Boccia.

È la regola dello junktim (in tedesco, qualcosa di traducibile con «nesso»), su cui si reggono le grandi coalizioni, spiega il costituzionalista e senatore Ceccanti: «Si dà un colpo a destra e uno a sinistra insieme, e così si neutralizzano le opposte resistenze».

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