Roma - Romano Prodi incassa la fiducia della Camera, ma anche segnali di scollamento senza precedenti nella sua maggioranza. Promesse di divorzio che vanno dall’annuncio che d’ora in poi i voti se li dovrà cercare «caso per caso», alla richiesta di verifica e riscrittura del programma, fino a un invito esplicito a fare un Prodi bis.
Il ddl sul Welfare è passato con 326 sì e 238 no e ora va al Senato. Approvato, quindi, il provvedimento che sostituisce lo scalone della riforma Maroni e quindi il passaggio da 57 a 60 anni dell’età pensionabile, con un sistema più morbido di scalini e quote. Il testo è stato riscritto con un maxi emendamento nel quale non sono state incluse le modifiche che la sinistra radicale aveva ottenuto in commissione Lavoro su pensioni e contratti a termine. Una sconfitta bruciante che ieri, dopo il terremoto dentro Rifondazione comunista, si è manifestata soprattutto nel Pdci con le dimissioni del presidente della commissione Lavoro, Gianni Pagliarini. Gli emendamenti della sinistra portavano la sua firma. Quindi, per «dignità, soprattutto delle istituzioni», la decisione di farsi da parte. Gesto che gli ha fatto guadagnare la solidarietà dei colleghi del centrodestra come l’azzurro Simone Baldelli. E la promessa di Palazzo Chigi che il suo dissenso non sarà ignorato. Disponibilità respinta dal leader del partito Oliviero Diliberto: «Potevano pensarci prima». Il segretario del Pdci ha scavalcato a sinistra Rifondazione comunista, annunciando una stagione più di lotta che di governo. La verifica di governo a gennaio chiesta dal Prc e accettata da Prodi? «È inutile. Noi valuteremo caso per caso e daremo battaglia su ogni provvedimento».
Un segnale chiaro di rottura, anche con gli altri fondatori della Cosa rossa. In primo luogo con il partito di Franco Giordano, alla ricerca di un qualche risarcimento, che potrebbe riguardare la legge Biagi, con un ulteriore ridimensionamento della riforma, e le spese militari. Sul primo capitolo Piero Fassino si è mostrato disponibile e ha annunciato che a gennaio si discuterà «di come consolidare la lotta alla precarietà».
Ricerca difficile. Il Prc ieri ha subito il divorzio ufficiale di Salvatore Cannavò, della minoranza interna, che ha votato contro la fiducia e ha sancito l’uscita dal partito sua e della corrente Sinistra critica. Gianluigi Pegolo ha invece votato «per disciplina», ma ha chiesto che il partito esca dal governo. Sintomi della nascita di un’altra Cosa rossa, a sinistra di Rifondazione, della quale farebbe parte sicuramente anche il senatore Franco Turigliatto, già fuori dal partito di Bertinotti e che voterà no anche in caso di fiducia.
Ricerca difficile, anche perché per il premier si potrebbero riaprire i fronte con i moderati del centrosinistra. Alcuni dei quali sono stati scottati, al pari della sinistra.
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