da Roma
«Non siate solleciti del domani, perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno la sua pena». Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha citato, da buon valdese, il Vangelo di Matteo per sintetizzare l’esito del pranzo di lavoro dei quattro ministri della sinistra radicale con il premier Prodi.
Sul tavolo, ovviamente, il protocollo sul welfare, particolarmente indigesto tanto all’esponente di Rifondazione quanto ai suoi colleghi Mussi, Pecoraro Scanio e Bianchi. Il Consiglio dei ministri di ieri, infatti, su richiesta dell’ala sinistra, ha accettato di affrontare la questione settimana prossima. Ma ai quattro non è bastato e hanno immediatamente chiesto un vertice con il premier. Perché, come ha spiegato Ferrero, «c’è un terzo della maggioranza che sostiene che quell’accordo va modificato». E così intorno alle 14 Prodi e il sottosegretario Letta hanno aggiunto cinque posti a tavola (c’era anche il ministro Damiano, ndr).
Che il clima, almeno inizialmente, fosse teso lo ha confermato il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, uscito per primo e con il volto scuro oltreché dall’abbronzatura anche dal piglio imbronciato. «Abbiamo chiesto che ci sia maggiore attenzione al settore del precariato - ha detto - e che la competitività non sia solo costo del lavoro, ma anche innovazione. Serve una scossa». L’incontro, ha aggiunto, deve essere interpretato come «un segnale di disponibilità a migliorare i provvedimenti nell’ambito della sovranità del Parlamento». Ma se dalle Camere questa «scossa» non arrivasse? «Ci sarà questa innovazione», ha tagliato corto Pecoraro lasciando intendere che il premier è stato «avvisato» sulle spiacevoli conseguenze di un percorso non concordato.
Mussi, pure lui con il volto tirato, è entrato maggiormente nel dettaglio. «Abbiamo spiegato in rappresentanza di quattro gruppi parlamentari - ha sottolineato - che è necessaria collegialità nelle decisioni, che va tenuta presente l’intera coalizione su una scelta strategica come il welfare». Gli appunti critici, come li ha definiti Mussi, si concentrano sul capitolo competitività: la detassazione degli straordinari «porta ad aumentare l’orario di lavoro, non l’occupazione», mentre lo staff leasing doveva essere abrogato come il lavoro a chiamata, invece è stata prevista una commissione di studio. Anche sul tempo determinato «la soluzione non ci convince».
Certo, ha concluso il leader di Sd, «Prodi e Damiano non possono metter mano unilateralmente al protocollo, ma c’è il momento della traduzione in disegno di legge e il passaggio parlamentare» e in entrambi i momenti si possono recepire delle modifiche. Il ministro Ferrero, il più critico sui contenuti dell’intesa, si è invece mostrato più sereno dei suoi colleghi. «Non ci è stato detto un no - ha dichiarato - e si apre una discussione. La nostra posizione è chiara e rappresenta una critica chiara sullo scalone e sul mercato del lavoro. A settembre e ottobre misureremo come si tradurrà in legge».
La traduzione del suo pensiero è chiara se si unisce alla citazione evangelica: Prodi ha accettato di aprire un nuovo fronte e, per ora, la sinistra è soddisfatta perché a settembre si potrà metter mano al testo dell’accordo. D’altronde le alleanze di «nuovo conio» teorizzate da Rutelli non sono possibili. «Voglio vedere chi ha la faccia di presentarsi in Parlamento e cambiare le alleanze con le quali ha chiesto il voto agli italiani».
D’altronde, Prodi ha voluto tranquillizzare tutti i commensali. «Io sono il presidente del Consiglio di una coalizione di centrosinistra», ha detto ai suoi quattro ministri per allontanare lo spettro di una svolta centrista. Un’apertura che, però, lascia scoperto il fronte riformista. «Il Parlamento - ha risposto piccata il ministro radicale Emma Bonino - è sovrano per tutti, non c’è bisogno di un pranzo a Palazzo Chigi per scoprirlo.
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