Roma - Il Consiglio dei ministri ri-approva in serata il disegno di legge sul welfare (il primo voto c’era stato venerdì scorso). Un provvedimento che ha avuto una gestazione lunga quattro giorni; e che in mattinata è stato emendato direttamente a Palazzo Chigi da sindacati e Confindustria. E solo dopo le modifiche apportate ai contratti a termine ed all’ammontare garantito per legge delle future pensioni (minimo il 60% dell’ultimo stipendio), Palazzo Chigi dà l’assenso alla convocazione del Consiglio dei ministri per vidimare l’intesa. Riunione di governo voluta con forza dalle parti sociali, e con altrettanta forza osteggiata dalla sinistra estrema.
Secondo Fausto Bertinotti e Paolo Ferrero (che si astiene con Alessandro Bianchi al momento del voto a Palazzo Chigi), la parola ora passa al Parlamento. «È sovrano e può modificarlo nella forma e nei modi che riterrà», commenta il presidente della Camera. Insomma, la sinistra estrema - alla vigilia della manifestazione di sabato - continua a restare contraria al provvedimento e promette battaglia. E battaglia la minaccia, per ragioni opposte, anche Lamberto Dini: non conosco il testo - dice - ma le ipotesi che circolano non vanno bene.
Il compromesso raggiunto rispetto al testo precedente (quello di venerdì, contestato da Confindustria e sindacati) contiene modifiche per quanto riguarda i contratti a termine. Secondo la prima versione, dopo 36 mesi non potevano essere rinnovati. In base al nuovo testo, chi è già assunto con contratto a termine potrà terminare il periodo secondo le vecchie leggi. Chi è in fase di successione di contratto, potrà «congelare» lo stesso per 15 mesi, senza che ci sia la trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Chi, invece, viene assunto dopo l’entrata in vigore della legge, potrà avere un contratto di 36 mesi ed avere diritto ad una sola proroga. Un compromesso che soddisfa la Confindustria; delusa, però, delle modifiche contenute nel disegno di legge in materia previdenziale. Una su tutte: l’eliminazione dello scalone previdenziale.
I sindacati, al contrario, hanno ottenuto che tornino ad essere quattro le «finestre» (cioè, le uscite) pensionistiche per chi ha maturato 40 anni di contributi. L’innovazione contenuta nel disegno di legge è l’introduzione di un parametro fisso di rivalutazione pensionistica per le future generazioni. Ai giovani è stato garantito che il loro trattamento sarà pari almeno al 60% dell’ultima retribuzione, modificando così la legge Dini, norma che prevedeva una graduale riduzione.
Ed ancora. L’aumento dei contributi dello 0,9% scatterà soltanto se non verranno ottenuti risparmi dalla fusione degli enti previdenziali. Mentre l’unico elemento «conquistato» dalla sinistra estrema è la conferma dell’eliminazione del numero dei lavoratori usuranti che potranno beneficiare dello sconto di tre anni per andare a riposo. In altre parole, non c’è scritto che potranno essere 5mila; in compenso, viene confermato lo stanziamento.
La Ragioneria generale dello Stato avrebbe preferito che venisse precisato il numero di 5mila, altrimenti tutti i lavoratori che sono nelle condizioni di considerarsi «usuranti» possono chiedere di andare in pensione con tre anni d’anticipo. In qualunque caso, l’argomento verrà definito con un nuovo provvedimento. Per frenare l’esodo, comunque, sarebbero stati ridotti i requisiti ed introdotta una norma che vincola l’agevolazione previdenziale ad una verifica finanziaria. Come il plafond a disposizione viene raggiunto, scatta una revisione dei requisiti.
Al termine del Consiglio dei ministri, Enrico Letta assicura che non ci saranno oneri aggiuntivi per lo Stato.
Molto critica Emma Bonino sulla procedura seguita da Palazzo Chigi. «Trovo molto sgradevole questo modo di procedere. Non sono un ministro-squillo. Sono stata convocata senza nemmeno avere avuto il tempo di leggere il testo del nuovo disegno di legge».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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