da Roma
Questa è una manifestazione che va letta come un manoscritto in ebraico. Per contrario. Questa è una manifestazione non-manifestazione, che se la guardi come tutte le altre, cercando chi ne controlla la testa, non la capisci: perché in testa non c’è nessuno, solo facce di gente comune e bandiere rosse. Ieri per le vie di Roma, in linea teorica, avrebbe dovuto sfilare la sinistra radicale, antagonista, ribelle. Ma se seguivi questo corteo non trovavi nulla di tutto questo: non c’erano no global, incappucciati, non c’erano tute bianche o nere o paramenti paramilitari. Uno che dal G8 di Genova fosse passato direttamente a piazza San Giovanni - ieri - avrebbe pensato di aver sbagliato corteo. È questo il primo motivo che da oggi preoccupa i dirigenti del Partito Democratico. La Cosa rossa non nasce con un documento programmatico, ma con un corteo di civilissimi «autoconvocati». E visto chi erano questi autoconvocati - madri con carrozzina, bambini, insegnanti, sindacalisti - si capisce subito che la Cosa rossa non nasce come una bizzarra variante massimalistica del Pd, ma come un suo «concorrente»: forse un prodotto competitivo, sicuramente più identitario e accattivante per un elettore progressista. In una parola: il più pericoloso soggetto che Walter Veltroni si potesse trovare sulla sua strada.
Questa era una manifestazione al contrario, e dunque senza slogan: solo orchestre e canzoni. A furia di dire e scrivere che era «anti-governativa», «anti-sindacato», «anti-tutto», è diventata la manifestazione più silenziosa e disciplinata delle storia della sinistra italiana. E se in prima fila non c’erano dirigenti e nel corteo, per opportunità politica, mancava l’unico ministro di Rifondazione Paolo Ferrero (che però commentava su La 7!) c’erano però cinque (su cinque!) sottosegretari di Rifondazione, fra cui Alfonso Gianni (storico braccio destro di Fausto Bertinotti) che passeggiava con giubbotto in camoscio e moglie sotto il braccio e sorrideva: «Noi sottosegretari non eravamo fuori legge, eh, eh, eh...». Se leggi questa manifestazione in recto, stando a quel che c’era sulla carta, dovresti dedurre che la Sinistra Democratica non ha partecipato, perché Fabio Mussi ha detto parole di fuoco, annunciato assemblee alternative (che non hanno avuto luogo) e poi si è dileguato nel nulla. E se invece la leggevi contromano da cima al fondo, questa manifestazione, ci trovavi tutti gli striscioni della Sinistra Democratica d’Italia. A tenere in mano il più grande c’era un eurodeputato di Sd, Claudio Fava: «Di cosa vi stupite? È una manifestazione bellissima, ovvio che ci siamo!». C’è una ragazza che espone un cartello provocatorio: «Spero che ritorni Berlusconi!», ma la destra scompare, dall’almanacco delle parole d’ordine. Ci sono invece tre mamme con una parannanza su cui leggi: «Sono qui anche per conto di mio figlio, ricercatore e precario» (e ce l’hanno con Padoa-Schioppa). Ci sono poi i napoletani che ondeggiano al grido «Chi non salta Jervolino è», i fiorentini che prendono in giro Leonardo Domenici con la sfilata dei «Lavavetri collezione Pitti-uomo», i bolognesi anti-Cofferati. Ma è satira affilata, senza rullar di grancasse. I leader sul palco non salgono, solo comparsate rapide, si vede più Ascanio Celentini (amatissimo attore monologhista) che Oliviero Diliberto o Franco Giordano.
Questo corteo è come uno zoo di tutte le sinistre esistenti, come un’arca di Noè di animali in fuga dal Pd: ci trovi dentro le cose più impensabili, dagli «interisti leninisti» (giuro, esistono davvero, e sostengono di aver ritirato la tessera ad Armando Cossutta) ai Carc, dalla Sinistra Mediterranea (!!?) al «Movimento vegetariano». I militanti di questa formazione (non è uno scherzo) distribuiscono un meraviglioso volantino: «Jurka Libera!» (dove Jurka non è un detenuto curdo, ma una orsetta «detenuta in un recinto a San Romedio, in val di Non»). Alla fine ci sono Pdci, rifondazione e Fiom, ma anche molti altri cani sciolti «calamitati» che hanno fatto salire la partecipazione a 700mila persone. Questo corteo è come un libro giapponese, lo capisci solo se vai contromano, e arrivato fino al fondo, ti accorgi che il vero frontespizio è dove ti immaginavi di trovare la quarta di copertina. Il titolo di questo libro è: «Nichi Vendola». Ovvero l’unico che può diventare leader di tutte queste razze disperse in cerca di un pastore. Vendola, anche se non se lo ricorda nessuno, è il solo superstite dei cinque dirigenti che fondarono Rifondazione nel 1991. È l’unico rifondatore che governa una regione, l’unico che può avere più carisma del ministro Paolo Ferrero, o dell’attuale segretario, Franco Giordano. E infatti Vendola lo trovi proprio in fondo al corteo, in ultima fila, dove si fa la fila per stringergli la mano. Nella più classica delle tradizioni, conferma con le sue smentite quello che tutti pensano. Dice: «Io leader? Ho molti difetti. Sono troppo vecchio» (ed è il più giovane dei dirigenti) «Sono cattolico» (l’unico che in italia non lo sia è il suo avversario, Ferrero, valdese), «Sono eterodosso» (che qui è la norma!), e poi «sono inadatto al ruolo, malinconico per natura» (come si diceva di Enrico Berlinguer).
Luca Telese
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