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Wenders e Tarantino conquistano Cannes fra silenzi ed eccessi

Il tedesco è in concorso con "Perfect days", l'americano parla della sua vita nel cinema

Wenders e Tarantino conquistano Cannes fra silenzi ed eccessi

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Wenders e Tarantino conquistano Cannes fra silenzi ed eccessi

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Cannes. Quale differenza divide, con diciassette anni di vita e arte, Wim Wenders e Quentin Tarantino, ieri alla stessa ora sulla scena del Festival di Cannes...

Il regista tedesco, 77 primavere, ha presentato in concorso il suo ultimo film Perfect days, raccogliendo una pioggia interminabile di applausi al Teatro Lumière. Il collega americano presentava il suo libro autobiografico Cinema speculation in un incontro a inviti nella sezione collaterale Quinzaine des cineaste.

Un divario palpabile nel modo di fare cinema, riflessivo il primo e di impatto il secondo. Moderno in Wenders e postmoderno in Tarantino. Perfect days rischia di allontanare lo spettatore ma l'abilità del tedesco è quella di stupire perfino nel racconto semplice del suo protagonista Hirayama e delle sue giornate fatte di nulla. Un nulla che lo spinge a sfidare a tris uno sconosciuto con cui divide il foglietto del giochino nelle pieghe delle pareti di un vespasiano a gettone. Oppure nell'incontro con la nipote, l'unica capace di sciogliergli la lingua e farlo parlare. Già perché dalla logorrea degli angeli nel Cielo sopra Berlino si passa all'afasia e ai lunghi silenzi di Hirayama che ha ben poco da dire a chiunque.

Trentasei anni, dal 1987 a oggi, in cui il cinema di Wenders è passato attraverso i documentari (Salgado e Papa Francesco) e tanto altro ma lo allontana dal collega americano come se tra i due passassero ere geologiche.

Non è un caso ma un dato di fatto che se Wenders appartiene alla modernità di fare cinema, Tarantino guarda al passato come stadio formativo ma se ne allontana nel momento stesso in cui si mette dietro alla macchina da presa.

Se insomma Wenders rappresenta una sorta di realtà filtrata attraverso la finzione o, in altri contesti, riproduce esattamente ciò che viene inquadrato, Tarantino quella stessa realtà - presente o passata - la rimanipola assegnandole una chiave di lettura nuova e totalmente inedita.

Django, come Bastardi senza gloria oppure C'era una volta a Hollywood inventano ciò che non è mai accaduto, riplasmandolo come talvolta l'immaginario collettivo avrebbe voluto che i fatti andassero. Chi mai non avrebbe preferito veder morire Manson e i suoi satanici ragazzi invece di Sharon Tate e i suoi ospiti di Cielo drive...

Un meccanismo che assomiglia ai videogiochi dei giorni nostri in cui è possibile riscrivere la storie e forse la Storia stessa anche quando diventa cronaca.

È la distinzione che separa il cinema moderno di Wenders da quello postmoderno di Tarantino che - curiosamente ma non troppo - ieri si sono divisi il palcoscenico e il pubblico di Cannes dove a sorpresa sembravano perfino essersi scambiati i ruoli.

Tarantino è diventato il nostalgico che a un'età non certo veneranda si guarda indietro con spirito autobiografico, Wenders osserva i giorni fatti di nulla del povero ma felice Hirayama contento di dire alla nipote che «il mondo è pieno di parole ma queste non costruiscono sempre gli stessi giorni».

In questa prospettiva Perfect days racconta l'ordinario che diventa straordinario a differenza di Tarantino che immagina lo straordinario come se fosse ordinario. E se Wenders a 77 anni è in corsa per una Palma mai tanto difficile da assegnare come quest'anno, Tarantino arriva in punta di piedi, evita le passerelle e si concede a un pubblico di invitati, cui gli organizzatori non accettano aggiunte in corsa.

Il vecchio è sulla breccia e il giovane sembra decantare fra le pieghe di una manifestazione in cui non è protagonista come qualche anno fa in cui sfilò con Brad Pitt, Margot Robbie e Leo DiCaprio.

Un segno dei tempi anche questo. Il fantasmagorico cinema americano e un autore tedesco che affranca la sua nazionalità prendendo in adozione una trama orientale. Non c'è nulla di tedesco in Perfect days se non la precisione del lavoro di un addetto alle pulizie, infimo grado della scala sociale, davanti ai bagni ben tenuti anche dai loro frettolosi frequentatori.

Una cornice diversissima rispetto ai nativi che a Cannes hanno sfilato qualche giorno fa con Scorsese.

Wenders resta tedesco nel suo modo personalissimo di fare cinema.

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