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Wilkinson-choc, il mito del rugby inglese finisce in panchina

Clamorosa decisione del coach dei «bianchi» in vista della partita conclusiva del Sei Nazioni: l'eroe dei mondiali 2003 confinato tra le riserve

Che non fosse più il Jonny Wilkinson di una volta se ne erano accorti anche i tifosi italiani, che al Flaminio durante l'ultimo Italia-Inghilterra gli avevano visto sbagliare dei calci di punizione che una volta avrebbe segnato ad occhi chiusi. Ma che si potesse arrivare addirittura ad una sua esclusione dalla formazione-base della nazionale con la rosa rossa non se l'aspettava nessuno: men che meno i francesi, la nazionale-schiacciasassi di questa edizione del Sei Nazioni, che sabato prossimo riceveranno allo Stade de France l'Inghilterra nella quinta e ultima giornata del torneo 2010. Tanto che l'allenatore transalpino Marc Lievremont oggi si dichiara «assolutamente stupito» della decisione. «Mi aspettavo che Wilkinson giocasse dall'inizio se era in forma, o che non venisse convocato se non si era ripreso dal colpo alla testa». Ma che venisse confinato in panchina, relegato al rango di riserva, è una eventualità che nessuno si aspettava. Probabilmente nemmeno il diretto interessato.
Per capire la portata della decisione di Martin Johnson, tecnico della nazionale inglese, bisogna tenere presente che non stiamo parlando di un giocatore qualunque. In uno sport che lascia poco spazio ai protagonismi personali, Wilkinson ha avuto il destino di incarnare in prima persona una delle pagine più gloriose del rugby del suo paese: la vittoria della Coppa del Mondo 2003, in Australia. Una vittoria conquistata grazie proprio sull'Australia padrona di casa, a trenta secondi dalla fine del secondo tempo supplementare di una partita infernale, quando a venticinque metri dai pali il mediano d'apertura infilò il drop, il calcio di rimbalzo che diede all'Inghilterra la sua prima Web Ellis Cup. Al ritorno in patria, quando la nazionale attraversò Londra su un pullman scoperto in mezzo ad una folla inverosimile, era chiaro che quella vittoria era stata merito di tutti. Ma che un giocatore più di ogni altro ci aveva messo la sua firma. Lui, Wilkinson, allora appena ventiquattrenne, nominato dalla regina Elisabetta II baronetto dell'impero.
La forza di Wilkinson è sempre stata nel piede. Nel calcio di drop (che del rugby è la variabile meno prevedibile, un po' come l'asso pigliatutto nello scopone scientifico) ma anche nei calci di punizione. É stato lui a cambiare per sempre la tecnica di calcio, inventando quella posizione - gomiti giunti, sedere all'indietro - che poi è stata adottata dai giocatori di tutto il mondo. É suo il record assoluto di 33 drop realizzati in competizioni internazionali, e nei calci piazzati la sua media di realizzazione è sempre stata impressionante. Anche dopo la catena di infortuni che appena dopo il mondiale lo tenne lontano dai campi per ben tre anni, Wilkinson tornò in azione dimostrando di non avere perso la mira: nel primo match della sua seconda vita, contro la Scozia a Twickenham, segna da solo 27 dei 42 punti della vittoria dei «bianchi». E al turno successivo vinse praticamente da solo la partita contro l'Italia, diventando il recordman mondiale dei punti realizzati negli incontri internazionali. Un record che mantiene tuttora con un totale di 1.172 punti (di cui 1.105 con la maglia inglese e 67 con quella dei British Lions).
Insomma, più una leggenda che un giocatore. Così è un paese attonito quello che mercoledì riceve l'annuncio dai comunicati della English Rugby Union: la formazione decisa per l'incontro di Parigi prevede ben sei cambiamenti rispetto a quella scesa in campo nel week-end scorso contro la Scozia. E uno di questi è Wilkinson. Al suo posto gioca Toby Flood, 24enne apertura dei Leicester Tigers.
Che un ampio turnover fosse in vista era scontato. Contro la Scozia - la squadra più debole del torneo, malmenata anche dall'Italia - si era vista una Inghilterra ancora più inconcludente di quella vista a Roma e contro l'Irlanda. 15-15 il risultato finale, un pareggio che salvava gli scozzesi dalla prospettiva del «cucchiaio di legno» e lasciava senza titolari la «Calcutta Cup», il trofeo che ogni anno viene messo in palio nello scontro diretto tra l'Inghilterra e i blu di Edimburgo. Il risultato aveva aperto la strada alle previsioni più pessimistiche della stampa inglese in vista dell'ultimo turno. Se a Parigi andiamo in campo come contro la Scozia ci massacrano, era il parere unanime.
Così fuori quattro dei sette giocatori delle linee arretrate: l'ala Ugo Monye, l'estremo Delon Armitage, il centro Mathew Tait. E lui, sir Jonny. Che l'amarezza dell'esclusione l'aveva provata solo due volte, in dodici anni di carriera in Nazionale, e che tutte le volte era stato richiamato a furor di popolo.

Invece questa volta sono in molti, in Inghilterra, ad avere la sensazione che la panchina dello Stade de France possa essere per Wilkinson solo la prima di una serie, l'annuncio ufficiale di un declino che - parliamo di un giocatore di appena 31 anni, un'età che in quel ruolo dovrebbe essere quella della piena maturità - costringe a porsi qualche interrogativo sull'usura troppo rapida dei campioni del rugby moderno.

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