Willy Loman lotta ancora contro il sogno americano

Eros Pagni in una ricca rilettura del «Commesso viaggiatore»

Enrico Groppali

Credevamo di aver chiuso i conti col Commesso viaggiatore di Arthur Miller. Anzi eravamo convinti che la triste parabola di Willy Loman, che esce sconfitto da quel Sogno Americano che fino ai tardi anni Sessanta abbagliò più di una generazione, fosse divenuto un fossile difficilmente praticabile alle soglie del nuovo secolo. Confortati in questa opinione dall'ultima edizione del celebre testo varata da Giancarlo Cobelli che si limitò, nonostante la presenza di un attore come Umberto Orsini, a correttamente impaginarlo senza intervenire né sul suo gruppo sanguigno (che deve molto a Lillian Hellman) né sul suo tessuto connettivo (che si rifà alle saghe familiari di Ibsen).
Invece Marco Sciaccaluga ci ha dimostrato che il copione più fortunato di Miller non è affatto un imbarazzante reperto da collocare in uno sperduto scaffale di biblioteca. A cominciare, infatti, dalla scena di Valeria Manari che non si limita a inquadrare criticamente l'azione ma, con l'aiuto di un girevole, fa sbucare dalle porte-finestre che sul fondo spalancano a vista l'azzurro cielo newyorchese i personaggi del passato di Willy, il regista in un momento di grande creatività azzera il passaggio degli anni proiettando la vicenda in uno spazio atemporale che è insieme ieri e domani. Infatti Sciaccaluga innesta il debito dell'autore col suo maestro dichiarato in un universo che continua, esasperato, a coinvolgerci. Tanto che noi spettatori ci troviamo idealmente reclusi nella casa di Willy, ci sembra di conoscere da sempre il tormento espresso con tanto pudore da Orietta Notari, ci rendiamo subito conto della mediocrità di Happy cui Aldo Ottobrino conferisce un malizioso controcanto e, soprattutto, siamo solidali con la tragedia di Biff, il ragazzone troppo cresciuto e troppo succube del pater familias, incarnato con splendida varietà di mezzi da Gianluca Gobbi. Perché i personaggi, in questa accurata messinscena, aderiscono in modo così perfetto al fisico, al gesto, alla parola e alla mimica degli attori da farci dubitare di essere a teatro tanto ci sentiamo calati nella loro vita.

Dal perbenismo ottuso ma vincente di Ugo Maria Morosi fino al ritratto istrionico e commosso che di Loman ci offre Eros Pagni al culmine della sua arte.

MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE - di Arthur Miller. Teatro di Genova. Regia di Marco Sciaccaluga, con Eros Pagni. Bologna, Teatro Duse, fino al 18 febbraio.

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