nostro inviato a Wimbledon
Il problema è serio: Wimbledon piace a tutti tranne che agli inglesi. O meglio: a un certo tipo di inglesi. Forse la maggioranza. La realtà, devastante, è esplosa sulle pagine del Daily Mirror di sabato, forse un po' dissacrante nella sua crudezza, ma in alcuni punti condivisibile. In pratica: secondo il Mirror, nonostante il record assoluto di spettatori registrato nella prima settimana, nei vialetti dell'«All England Lawn and Croquet Club» si sono creati due partiti ben distinti, ovvero quello degli eterni entusiasti e quello di chi storce il naso. I primi sono a schiacciante maggioranza straniera, i secondi giocano in casa. Cioè - si legge - per gli inglesi il Championship è diventato come un'inevitabile soirée annuale: ci devi andare perché se no sai che sventura. E sarà per questo allora che dalle parti del ristorante con annessa orchestrina appare spesso un vero e proprio defilé di moda (e che moda...), organizzato in mezzo alla plebe vociante e ciabattante. Solo che la plebe è interessata al tennis, gli altri aspettano che finisca.
Le verità è che, innanzitutto, cè il fatto che al primo turno le racchette di casa sono finite quasi tutte fuori. E chi è rimasto, cioè Andy Murray, non rappresenta esattamente limmagine britannica che Wimbledon rappresenta. E poi quest'anno non piove - nonostante i Giuliacci del Regno Unito si sforzino di fare coraggio ai più, prevedendo tragici acquazzoni - e questa stravaganza finisce per incidere sullumore locale: cera infatti da vedere finalmente all'opera il mastodontico tetto del Campo Centrale, che dopo i primi giorni qualcuno - esausto - giurava di aver visto chiuso anche se non era vero. Fino a quando «the roof» è stato finalmente azionato, era sabato sera, senza però leffetto sperato: quando la pioggia prevista per imminente da giorni è arrivata, i giocatori avevano infatti appena finito la partita.
Insomma, una tragedia. Se aggiungiamo poi la prestazione televisiva di Tim Henman, l'idolo di casa quattro volte semifinalista che - una volta liberatosi dal peso di dover vincere Wimbledon a tutti i costi (l'ha detto lui) - è passato alla Bbc come opinionista con risultati peraltro modesti. Diciamolo, insomma: Tim è come quando giocava, educato ma noioso, e il pubblico locale ha cominciato a capirlo con un po' di ritardo. Sue Baker, il volto più noto della rete, ha cercato di giustificare le sue deludenti performance di venerdì spiegando che «non era il caso di mettere Federer in campo come primo match sul centrale proprio dopo la notizia della morte di Michael Jackson». Siccome pare fosse una giustificazione, si cerca ancora la soluzione dell'enigma.
Ecco perché, appunto, resta Andy Murray, l'uomo che si è vestito da Fred Perry nel tentativo di riportare in patria il trofeo che il predecessore vinse nel 1936, che però ha un piccolo problema: Wimbledon sta in Inghilterra, mentre lui è scozzese. E la cosa da queste parti fa differenza. Il ragazzo è forte ma piace così così, forse il fatto di essere sfuggito da piccolo alla strage nella sua scuola di Dunblane ne ha un po indurito il carattere. E sua madre July, che ne è pure il coach, con la federazione locale ha da sempre qualche problemino. Così, nel tentativo di adottare Andy in tutto e per tutto e risollevare il morale dei sudditi, c'è chi ha bussato a Buckingham Palace per vedere se la Regina Elisabetta fosse magari libera per un'eventuale premiazione dell'eroe il giorno della finale, cosa che non succede dai tempi di Virginia Wade, correva lanno 1977.
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