Letteratura

Wolf Giusti e la fratellanza di tutti i popoli slavi

Gli scritti dello studioso sono ancora fondamentali per capire l'Europa orientale. Soprattutto oggi...

Alla memoria di Wolfgango Wolf Giusti (Firenze, 1901 - Roma, 1980), probabilmente il più importante degli slavisti italiani, sono rimasto molto legato. Avevo cominciato a leggerlo presto e ad apprezzarlo per la chiarezza e la semplicità dei suoi scritti che ti facevano entrare in confidenza con autori, pensatori ed eventi dell'Europa Orientale e del mondo slavo. Poi erano venute conoscenza personale, collaborazione lavorativa e, soprattutto, amicizia. Quando veniva a trovarmi per consegnarmi la «mazzetta» di articoli scritti per il quotidiano del quale allora curavo le pagine culturali era una festa: si sedeva sul divano e porgendomi gli articoli tutti rigorosamente scritti a mano con calligrafia leggibilissima su foglietti di carta di formato rettangolare e senza una sola cancellatura iniziava una conversazione ricca di aneddoti, ricordi, riflessioni sulla Storia.

Wolf Giusti aveva una base culturale eclettica ed enciclopedica che privilegiava, però, la storia delle idee e il rapporto di questa con la storia politica e istituzionale. Ma c'era, pure, in lui un'eccezionale sensibilità letteraria, della quale è testimonianza il fatto, per esempio, che egli fu il primo a far conoscere in Italia e a studiare il romanzo satirico di Jaroslav Haek Le avventure del buon soldato vejk, guardato con sufficienza dalla critica ceca ma destinato, poi, a un successo planetario. A riprova del suo eclettismo si potrebbero ricordare a parte i tanti studi su Dostoevskij almeno la sua Storia della Russia 988-1974 (Abete, 1975) nella quale la narrazione dei fatti si intreccia con la loro interpretazione e con certe loro implicazioni culturali e ideologiche, nonché il volume Tramonto di una democrazia. Le due parabole di Edoardo Bene (Rusconi, 1972) nel quale, con prefazione di Augusto Del Noce, è rievocata la vicenda umana e politica di un personaggio che segnò il periodo di transizione fra l'impero asburgico e il blocco sovietico.

Il tono di voce di Wolf Giusti era pacato rassicurante e i suoi giudizi su uomini e fatti del passato e del presente apparivano sempre equilibrati. Malgrado fosse un cattedratico importante non c'era nulla di «professorale» nella sua conversazione. Forse, proprio per la tendenza a evitare il condizionamento di posizioni ideologiche e per quel voler sempre tenere presente il contesto storico, i suoi libri, ripresi in mano oggi, non sembrano affatto datati e mantengono intatta la loro capacità di rendere intellegibili gli avvenimenti. Ne è una prova il denso saggio dedicato al Panslavismo (Oaks editrice, pagg. 210, euro 18, a cura di Paolo Mathlouthi) che, pubblicato per la prima volta dall'Ispi nel 1941 e successivamente dall'editore Bonacci nel '93 con un bella introduzione di Domenico Caccamo, viene riproposto oggi in un momento nel quale l'interesse per quanto accade nel mondo slavo è andato crescendo in maniera esponenziale dai tempi della fine della guerra fredda.

Questo volume si presenta come una lucida ed equilibrata sintesi di storia del panslavismo cioè di quel filone speculativo che intende esprimere l'idea di una «solidarietà slava» ovvero di una «fratellanza o federazione» tra i vari popoli slavi e che, a buon diritto, occupa un posto nella storia del pensiero politico dell'Ottocento e del Novecento. Si tratta di un filone dalle molte anime nel quale confluivano diverse posizioni, da un romanticismo confuso e vagamente idealistico intriso di sfumature folkloristiche e antimoderne fino a posizioni «democratiche» che si richiamavano ai diritti di libertà e autodecisione delle varie nazionalità. In sostanza i movimenti di «reciprocità» e di «solidarietà» slava si sarebbero sviluppati sotto il duplice influsso delle ideologie germogliate dalla Rivoluzione francese e dall'idealismo germanico e avrebbero assunto dunque una connotazione progressista e rivoluzionaria, nel primo caso, ovvero una più reazionaria, nel secondo.

Le idee di fratellanza e solidarietà finirono, comunque, per svilupparsi soprattutto presso le nazioni slave più piccole, quelle cioè che «sentivano incerte le loro frontiere e gravi e minacciose le forze che premevano dal di fuori». Wolf Giusti, quindi, non privilegia in questo suo saggio l'idea dell'esistenza di una comune «immensa famiglia slava» e la sua esposizione si dipana seguendo non già gli sviluppi di correnti «trans-nazionali» del panslavismo, progressiste o conservatrici che siano, quanto piuttosto i singoli ambiti nazionali. Si tratta di una scelta, certo, metodologica dell'autore per evitare confusioni e rendere più agevole la lettura del volume, ma si tratta anche di una scelta in certo senso dettata dalla profonda conoscenza che egli aveva dei singoli territori e delle culture del mondo slavo: una conoscenza diretta perché, fin da giovane, aveva avuto occasione di soggiornare a lungo in Cecoslovacchia, Polonia, Unione Sovietica.

Il volume prende le mosse dallo studio dello slavismo russo presentato attraverso l'esposizione del pensiero di intellettuali e politici dell'Ottocento i quali teorizzavano la missione universale del loro Paese o ne rivendicavano un ruolo centrale nel confronto con l'Europa: da poeti e filosofi, come Aleksej Chomjakov e Ivan Kireevskij, ad agitatori e politici come Alexandr Herzen e Michail Bakunin passando per Fdor Dostoevskij, il quale sostenne la necessità di superare il tradizionale dissidio tra slavofili e occidentalisti in un'ottica di mutuo rispetto. Il volume prosegue, poi, analizzando il «problema slavo» nell'ottica del bolscevismo per passare, infine, allo studio dello stesso nelle singole realtà nazionali: la Polonia, la nazione ceca, gli slovacchi e gli slavi meridionali, dai serbi ai croati agli sloveni.

Il saggio di Wolf Giusti come la gran parte dei suoi lavori scritto con finezza ed eleganza stilistica oltre che con chiarezza cristallina ricostruisce le vicende, soprattutto intellettuali, del panslavismo collocandole nel quadro della vita politica e culturale europea seguendo un approccio di tipo interdisciplinare. L'autore lo definisce un «manuale». In realtà, esso è qualcosa di più: una mappa preziosa per conoscere dall'interno una corrente politica, il «panslavismo», appunto, in qualche modo protagonista, della storia europea degli ultimi due secoli anche nei rapporti conflittuali che esso ebbe con le grandi ideologie e i grandi movimenti politici dell'età contemporanea a cominciare dal liberalismo, la democrazia, il nazionalismo, il comunismo.

Sotto questo profilo il libro, malgrado gli anni, è un testo di attualità per orientarsi nelle acque agitate di un mondo, come quello dell'Europa orientale, tornato prepotentemente alla ribalta della Storia.

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