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Yemen, scarcerati 19 ultrà islamici

Fausto Biloslavo

Diciannove volonterosi combattenti della guerra santa in Irak e Afghanistan, come loro stessi hanno ammesso, sono stati assolti da un tribunale yemenita dall’accusa di aver fatto parte di una cellula di Al Qaida. Nel leggere il verdetto, il giudice Mohammed al Baadani ha dichiarato che gli imputati «non dovevano essere perseguiti per le loro intenzioni di aderire al Jihad». L’accusa aveva portato in aula le armi, l’esplosivo il detonatore e il materiale chimico grezzo sequestrato durante il loro arresto, ma non è bastato.
Alcuni degli imputati si sono discolpati sostenendo che il piccolo arsenale era un ricordo della guerra santa in Irak, dove hanno ammesso con orgoglio di aver fatto saltare in aria gli americani. Ali Abdullah Naji Hussayan, il capobanda di 28 anni, ha candidamente detto davanti alla Corte: «Combattiamo gli americani in Irak e in Aghanistan, non nello Yemen».
I 19 furono catturati all’inizio dello scorso anno a Sanaa, la capitale dello Yemen, e ad Aden, il grande porto nel sud del Paese. Il 22 febbraio il procuratore di Stato, Said al Aqil, mostrò in aula armi, esplosivo, un detonatore e altro materiale sequestrato durante gli arresti. Secondo l’accusa la cellula rispondeva ad Abu Musab al Zarqawi, il luogotenente di Al Qaida in Irak ucciso dagli americani il 7 giugno scorso. Il piano consisteva nel piazzare bombe nei luoghi di ritrovo degli americani, soprattutto turisti. Fra questi un hotel a cinque stelle nel porto di Aden. I presunti terroristi volevano così vendicare l’eliminazione nel 2002, con un aereo spia della Cia, di Sinan al Harethi, nome di battaglia Abu Ali, considerato l’organizzatore, per conto di Al Qaida, dell’attentato nel porto di Aden all’«Uss Cole» in cui persero la vita 17 marinai americani. Ali Abdullah Hussein al Harth, uno degli imputati, ha ammesso il possesso dell’esplosivo spiegando di averlo usato in Irak contro le forze della coalizione. Un altro accusato, Yemeni Ammar Abdullah Fadhil, ha dichiarato in tribunale che il piccolo arsenale serviva ad addestrare decine di giovani volontari islamici per andare a combattere in Irak.
Alla sbarra ci sono anche cinque giovani sauditi, che erano giunti nello Yemen come notorio punto di transito verso l’Irak, ma sono stati arrestati prima di riuscire a partire per la guerra santa. Lo Yemen è sempre stato un tradizionale alleato di Bagdad, fin dai tempi di Saddam Hussein e della prima guerra del Golfo.
La Corte ha considerato che non c’erano prove sufficienti per condannarli, sul piano di realizzare attentati contro gli americani nello Yemen. L’aspetto clamoroso è che i giudici non hanno minimamente considerato un reato l’addestramento, il reclutamento e la partecipazione ai combattimenti in Irak ammessi da diversi imputati. La Corte ha invece ammesso che se la banda fosse stata condannata per la sua «partecipazione o intenzione a partecipare al Jihad», la sentenza «avrebbe incitato la popolazione contro i loro leader e provocato un’ondata di odio nei confronti degli Stati Uniti e dei cittadini americani nei Paesi arabi».


La stessa accusa si era guardata bene dall’affrontare nei dettagli in dibattimento la scelta di andare a combattere in Irak. Gli imputati hanno accolto la sentenza assolutoria gridando Allah akbar (Dio è grande), e il procuratore di Stato si è limitato ad annunciare il ricorso in appello.

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