nostro inviato a Zagarolo
Se fosse per le auto parcheggiate ovunque (e siamo in un borgo in cima a un colle, un labirinto), la parodia del tango di Bertolucci e le gesta di Ricucci, Zagarolo avrebbe ben altra presa sui più. Invece questo paese lungo la via Casilina, rispetto a Roma a est, paese perseguitato dagli sfottò, ha un solo asso da calare, sempre che lì se ne rendano conto: Adriano Baldassarre.
Trentenne, mi ricorda il calabrone che «per apertura alare, peso e dimensioni non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso». Non bastasse Zagarolo in sé, lui ha ricavato un ristorantino in un fondo di pochi metri, con una cucina che divide con sua mamma, Vincenza, e i clienti da andare a cercare con il lanternino, spiazzandoli con un gioco tra insegna e realtà in carta. Il Tordo Matto è infatti il piatto tipico del posto, che non è affatto a base di tordi. Piuttosto, è un involtino di cavallo che Adriano non prepara, con il risultato che chi si spinge fino a Zagarolo per gustarselo, entra da lui attratto dal nome e poi ha la sorpresa.
Chi non alza i tacchi e va a torderellare altrove, sarà premiato da una piatto di fantasia e sapori decisi ma eleganti, con chiari echi di esempi a cui tendere, Fulvio Pierangelini per citare il più evidente, con quel tendere a un risultato finale che sembra di una semplicità disarmante, ma che invece cela un grande lavoro.
Certo, ho trovato da asilo preparare un babà in una bagna analcolica e battezzarlo «brioche...», scritto proprio con i puntini di sospensione, di solito utili a mettere sullavviso lospite a patto di non avere completamente cambiato le carte in tavola. Un minimo di logica deve sopravvivere, anche perché si rischia che il signor nessuno si senta preso in giro.
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