«Il terzo settore in Italia è in una fase di straordinaria evoluzione verso un nuovo modello. Fino a 10 o 15 anni fa rappresentava una sorta di longa manus della Pubblica amministrazione, che lo finanziava e guidava attraverso lo strumento giuridico delle convenzioni. Da quando quel modello è diventato non più sostenibile, associazioni, cooperative sociali, organizzazioni non governative hanno capito che è necessario iniziare a rendersi autonome dallo Stato. Oggi assistiamo a fenomeni di ibridazione tra i modelli non-profit e for-profit».
Esordisce così uno dei massimi esperti italiani di terzo settore. Parliamo del professor Stefano Zamagni, classe 1943, un lungo curriculum all'insegna della scienza e della politica rispetto all'universo non-profit (è professore ordinario di Economia Politica presso l'Alma Mater Studiorum, Università di Bologna).
Quali sono i problemi con i quali il terzo settore si deve misurare?
«La maggior parte delle organizzazioni non-profit non è ancora attrezzata per affrontare le sfide di oggi. Far sì che riesca a esserlo sarà cruciale per risolvere molti dei problemi della società italiana. La causa di questa situazione non risiede nei singoli addetti, quanto nell'abitudine a un vecchio modus operandi. Occorrono nuove conoscenze. Ma l'evoluzione si compirà sicuramente nei prossimi anni».
E le imprese for-profit come possono contribuire?
«Devono cambiare l'approccio al concetto di responsabilità sociale, che oggi è concepita soprattutto come filantropia. Gli imprenditori più illuminati stringono alleanze con le organizzazioni non-profit per realizzare progetti finalizzati a obiettivi comuni».
E la politica?
«È stato commesso l'errore di abolire l'Agenzia per il terzo settore, che aveva il compito di vigilare su questo comparto».
Far crescere le imprese sociali può ridare ossigeno all'occupazione?
«Sì. Il terzo settore è come una spugna: assorbe acqua e, quando la spremi, la butta fuori». La sfida è rendere questa spugna sempre più grande.
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