Roma - Passa solo qualche ora dalla minaccia bossiana sui troppi che nella Lega «parlano a vanvera », cioè fuori dalla linea ufficiale (ma sempre più a zig zag...), tanto da fargli quasi passare «la voglia di far politica»,e riecco Tosi che fa andare in bestia il ticket Bossi- Calderoli («La Padania? È filosofia»). Tocca al ministro bergamasco far vibrare la possibile scomunica, ricordando al sindaco il primo articolo dello statuto leghista, che parla di «indipendenza della Padania ». Ma la frittata è fatta. E la tempistica è infausta soprattutto per Maroni, che si dirige verso via Bellerio mentre lì, con Bossi, Calderoli e i due capigruppo Reguzzoni e Bricolo (veneto, anti-tosiano) è già iniziato un processo al sindaco di Verona. Quando Bobo arriva, il clima è pessimo, e lui un semi imputato perché Tosi è considerato un suo alter ego. Un Calderoli infuriato, sostenuto in pieno dai Reguzzoni e Bricolo, legge il capo d’accusa: «Non si può andare avanti così, in un momento così delicato,c’è l’anarchia totale,l’ha detto anche il capo ieri, non si può parlare a vanvera, ci sono le segreterie nazionali e federali per queste cose! » dice parlando dei sindaci rompiscatole ma riferendosi al loro «ispiratore», Maroni, lì presente e di fatto sotto processo.
Le parole sul referendum equivocate come un invito a liquidare la legislatura ( cosa che Maroni respinge: «Solo fantasia, retroscena infondati »)e poi l’uscita spericolata di Tosi hanno prodotto questo: il ministro dell’Interno messo nell’angolo, un po’ indebolito tatticamente. E Tosi, lo cacceranno? Improbabile. Bossi, sussurrano i leghisti, non è più il Bossi degli anni ’90, quando bastava molto meno per essere sbattuti fuori in un battibaleno ( Gentilini che sta con Napolitano? Anche lui sarebbe già altrove, invece niente). Non sono solo l’età e gli acciacchi del capo, è che Tosi, come gli altri sindaci, dicono quel che i leghisti, anche molto in alto, pensano ma non è bene dire. E poi Bossi sa dopotutto che quell’area, quella di chi «spesso parla a vanvera», è anche la stessa che sta conquistando tutte le segreterie provinciali, dal Veneto alla Lombardia. I dubbi sull’alleanza, il ritorno alle origini, le perplessità persino sugli effetti del federalismo fiscale (il grande «dono» dell’abbraccio col Pdl), sono tutti ragionamenti diffusi nel Carroccio...
Ma nel capo prevale la prudenza e il calcolo. Il Bossi che parla a Buguggiate è un alleato leale del Cavaliere, un amico di Tremonti (e della sua manovra «per non farsi squalificare dall’Europa»), uno che diffida dei manifesti confindustriali ostili al Cavaliere. E che dice che non si può fare un’alleanza, farsi votare il federalismo e poi abbandonare il compagno. «Noi cerchiamo di mantenere la parola. Quando vengono le elezioni si può sì, evitare di andare assieme, si può che la Lega va da sola, sapendo già però che con questo vince la sinistra». Se questo è un leader che vuol «staccare la spina al governo», il premier può dormire tranquillo. I problemi semmai sono di Bossi, che è costretto a tenere calmi i suoi, molto più tosiani o maroniani che «bossiani». Con qualche cortocircuito, come quello si sta verificando a Varese, dove si voterà tra poco il segretario provinciale. Se n’è parlato in via Bellerio (dove si è fatto anche un cda della Padania ).
C’erano tre candidati, ma Bossi ha indicato pubblicamente il suo (Maurilio Canton, sindaco di Cadrezzate, si dice apprezzato dalla moglie del capo), cosa mai successa prima.
Il problema è che Canton è il meno popolare dei tre, con gli altri due più vicini alla base (maroniana-giorgettiana). E ora Maroni si trova con le mani legate: o lascia che si segua l’indicazione del capo, o dà indicazione di votare uno degli altri due. Cioè di votare contro Bossi. Scacco matto...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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