La zampata di Freire sulla Sanremo del secolo

Stupisce la rivelazione Riccò: attacca sul Poggio, ma poi viene ripreso

La zampata di Freire sulla Sanremo del secolo

nostro inviato a Sanremo

Il ritorno della gattamorta. Questa strana bestia vaga da qualche anno in mezzo al gruppo, ma nessuno riesce a portarsi via la sua pelliccia. Il suo nome è noto a tutti: Oscar Freire. Il suo habitat e le sue abitudini, pure: si nasconde nelle pieghe della corsa, senza mai dare nell'occhio, mimetizzandosi, fino a quando i cacciatori finiscono per perderlo d'occhio, ma è proprio in quel preciso momento, mentre tutti si concentrano su altri pensieri, che la gattamorta balza fuori e allunga la zampata. Così ha già vinto tre Mondiali, così ha già vinto una Sanremo (2004), e così si porta a casa pure la seconda, la più gloriosa, perché festeggia i cent'anni di biciclette in Riviera.
Tutti in piedi, applausi sinceri: la regale volata del Centenario, con tutti i sovrani dello sprint puntualmente al proprio posto, è firmata da un campione di razza. Felina. Freire ha un solo limite: si rompe troppo spesso. E poi è pure pigro e sonnacchioso: certo, una gattamorta. Ma quando si libera dei duemila acciacchi (schiena, collo, glutei), quando decide di puntare una preda, diventa spietato. Questa sua seconda Sanremo è un capolavoro di scaltrezza, di cinismo, ma soprattutto di agilità: mentre i re dello sprint preparano le loro macchine da guerra, lui, solo, senza un compagno, salta fuori ai duecento metri e ne fa scempio. La gattamorta che gioca coi topi.
Mentre tutti si chiedono che cosa già avrebbe vinto, e che cosa ancora vincerà, se solo salute ed entusiasmo lo sostenessero a tempo pieno, noi indigeni italiani ci ritroviamo a fare l'inventario dello scempio. Nessuno dei nostri vip finisce nella foto del podio: per dire come e quanto perdiamo. Data la circostanza, meglio fare l'appello. In fila, uno per uno, col voto che si meritano.
Il battutissimo è Petacchi. Non perché fosse più favorito di altri, poveraccio: in fondo, sei mesi fa stava con un ginocchio frantumato. Purtroppo per lui, la sconfitta diventa eclatante perché fino a duecento metri dal traguardo la squadra lo mette nelle condizioni ideali per colpire. Al momento del previsto assolo, davanti alla zampata della gattamorta, resta però pietrificato sui pedali, scavalcato da chiunque. La zampata del gatto morto. Voto 4.
Peggio ancora, molto peggio, è comunque Filippo Pozzato, il giovane emergente, vincitore dell'anno scorso. Il mal di stomaco lo toglie completamente da tutte le inquadrature. Adesso il problema è capire se il mal di stomaco sia da freddo, il che ci può stare, oppure da tensione, il che invece sarebbe molto preoccupante: significherebbe che il nuovo ruolo di capitano, tanto invocato, gli fa peso. Sullo stomaco. Voto 3.
Archiviato Bennati con un altro 3, perché prima di avere credito deve vincere qualcosa di seriamente serio, non resta che spalancare gli occhi sugli unici bagliori capaci di illuminare la giornata nera, tra l'altro contrassegnata da una litania di feroci cadute (parentesi: con questa mania dei cerchi al carbonio e delle gomme gonfiate come seni di veline, bastano due gocce per fare massacro).
Niente, le buone notizie riguardano solo due nomi: Bettini e Riccò. Il primo, al via con una costola incrinata e poi vittima di guai tecnici su una scarpa, onora la maglia da campione del mondo rimontando sulla Cipressa e poi ricucendo giù dal Poggio, per lanciare il suo sprinter Boonen. Più di così, non gli si può chiedere: voto 7.
Poi, il ragazzino emiliano che ha già stupito tutti nella Tirreno-Adriatico. Quando prometteva i botti sul Poggio sembrava un po' troppo gradasso, vista l'età (23 anni). Ma quando i botti li fa esplodere davvero, seminando tutti quanti in salita e poi portandosi dietro il solo francese Gilbert sino all'ultimo chilometro, l'Italia realizza che davvero qualcosa di bello sta nascendo. Non si sconquassa la Sanremo senza talento e senza personalità. Previsione: Riccò, che è forte pure sulle grandi montagne, ha tutto per sfondare, per vincere e anche per sbarazzarsi velocemente dell'accento. Voto 8.
Infine, un occhio anche allo spettacolo tv. La nota saliente è la trasmissione del dopocorsa, una specie di «Processo alla tappa» per grandi classiche. L'idea del neo-direttore sportivo, Massimo De Luca, è incoraggiante.

La realizzazione del conduttore, Alessandro Fabretti, avvilente: degli ospiti presenti non ce n'è uno sotto i 140 anni. Per la verità compare anche un giovane, l'unico in piedi, ma il conduttore non spiega chi diavolo sia. Forse un cugino. Nel complesso, voto 1.

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