Roma

Zampogna, la musica che arriva dai monti

GUSTI Belli: «Che belle canzoncine! Ogni pastore le cantò spiccicate a Bettalemme» Stendhal: «Nulla è più odioso come esser svegliati a notte fonda da quel suono»

Un aspetto tra i più folcloristici della Roma dell’Ottocento, che preannunciava le atmosfere tipiche delle feste natalizie, era l’arrivo degli zampognari, ritratti nel 1816 da A.J. Thomas e inseriti in una serie di tempere dedicate alla vita popolare e religiosa romana. La data della loro venuta per le strade della città coincideva con il 25 novembre, festa di Santa Caterina, giorno in cui la tradizione vuole che cominci l’inverno: una ricorrenza allora attesa con ansia nel «tranquillo paese di Roma». Scendevano dai monti abruzzesi, soprattutto da Atina in Ciociaria, nella Città Eterna zampognari e pifferari, come scriveva Gioacchino Belli: «E cominceno già li piferari/a calà da montagna a le maremme/co quell farajoli tanto cari!/Che belle canzoncine! ogni pastore/le cantò spiccicate a Bettalemme/ner giorno der presepio der Signore».
William Gillespie, un turista americano in visita a Roma nel dicembre 1843, scriveva: «Già un mese prima di Natale le strade sono percorse da suonatori ambulanti di zampogne che sono detti Pifferai. Sono personaggi molto pittoreschi, dall’aspetto di banditi, con alti cappelli a pan di zucchero, decorati con piume e nastri svolazzanti, con mantelli di pelle di pecora, le gambe avvolte da strisce di panno a vivaci colori, i capelli lunghi e le barbe cespugliose. A Broadway farebbero un effetto sensazionale». Si fermavano, prima del sorgere dell’alba, davanti alle edicole sacre, negli androni dei palazzi, nelle stalle delle latterie, celebrando per nove giorni ciascuno il mistero della Natività, intonando le loro cantilene. Non tutti gli animi, però, erano ben disposti ad ascoltare le loro nenie sul finire della notte. Annotava Stendhal nelle sue Passeggiate romane, del 1829: «Da quindici giorni siamo svegliati alle quattro di mattina da piferari o suonator di cornamusa. Costoro farebbero venire a nausea la musica. (...) Nulla è più odioso come essere risvegliati a notte fonda dal malinconico suono delle loro zampogne...».
Il popolo, invece, era notevolmente affezionato a loro. Lo dimostra il sonetto La novena de Natale, in cui Gioacchino Belli fa dire ad una popolana: «E a mé me pare che nun sii novena/si nun sento sonà li piferari./Co quel'annata de cantasilena,/che serve, benemìo! So’ troppo cari».
I pifferari, che dovevano richiedere una speciale autorizzazione alla polizia, si trattenevano a Roma fino alla domenica successiva all’Epifania quando facevano ritorno ai loro paesi insieme ai loro concorrenti, i Carciofolari.

Altra figura, questa, di ambulanti che cantavano e suonavano l’arpa tenendola davanti al ventre, con il manico in su e la parte sonora in giù.

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