Zampolini chiama in causa Prodi, Rutelli e Veltroni Silenzio stampa a sinistra

Strano. Per i grandi giornali esistono due architetti Zampolini. Quando pontifica il primo, quello che attacca il controdestra e colpisce come birilli gli Scajola e i Bertolaso, le sue parole diventano immediatamente titoli, sottotitoli e strilli a tutta pagina. Quando viene avanti il secondo Zampolini, quello che mette il naso nel piatto del centrosinistra e descrive il sistema degli appalti che ruotava intorno agli architetti amici di Veltroni, Prodi e Rutelli, il clamore si spegne, i titoli si afflosciano, gli strilli diventano colpetti di tosse. Curioso, perché l’architetto Angelo Zampolini fino a prova contraria è uno e uno solo. E ci siamo fatti l’idea che sia autorevole. O meglio, preciso e documentato nelle sue accuse.
Quando l’architetto ha puntato l’indice contro il ministro dello Sviluppo economico, la testa di Scajola è rotolata nel cesto decapitata dall’indignazione dei media. Scajola, modesto dettaglio, non era nemmeno indagato, ma certo l’episodio si commentava da sé, altri testi hanno portato acqua al mulino dell’architetto, il ministro si è difeso senza chiarire.
Insomma, questo Zampolini si è rivelato affidabile. E le puntate delle sue confessioni sono ormai un ritornello sulla stampa. Ieri ce n’era per Bertolaso e per Di Pietro, che però, come sappiamo, è una figura particolare nel firmamento dei postulivisti. Solo che a sfogliare pagine su pagine c’era da rimanere interdetti. E dove sono finite le affermazioni relative agli architetti legati ai big del centrosinistra?. Attenzione: non parliamo di figure di seconda fila. Ma dell’ex premier Romano Prodi e degli aspiranti premier Walter Veltroni e Francesco Rutelli. Siamo ai vertici del centrosinistra. E, a sentire Zampolini, siamo anche dentro i meccanismi della trasversalissima cricca. Il professionista è secco: «Durante il governo Prodi i miei progetti in vista del G8 a La Maddalena e delle opere per le celebrazioni dell’Unità d’Italia furono scartati perché venivano privilegiati altri». Chi? Zampolini non è certo un uomo ermetico. E non si fa pregare: «Quelli che lavoravano erano Stefano Boeri che era amico di Prodi e Rutelli. E l’architetto Napoletano che era amico di Walter Veltroni».
Accuse durissime. E tutte da dimostrare. Ma accuse che dovrebbero meritare qualche robusto elemento di titolazione oltre alle ovvie smentite degli interessati che annunciano ritualmente querele a grappolo. Invece, la lettura dei giornali è una caccia al fantasma. Quelle dichiarazioni sono merce introvabile. Invisibile. Non ci sono. Nemmeno una riga sul Fatto, sempre pronto a rigirare il dito nella piaga del clientelismo del centrodestra, nemmeno una riga su Repubblica che sugli affari della cricca ha scritto chilometri di articoli, nemmeno una riga sull’Unità, sempre in prima linea nel denunciare gli intrallazzi obliqui dei berluscones.
I giornali non vedono. Non sentono. Non scrivono. Il primo Zampolini sembra l’oracolo di Delfi, lo Zampolini numero due dev’essere afono. O il gemello stupido dell’altro. Se si va sui siti, più sensibili del mercurio di un termometro a registrare gli umori giacobini dell’opinione pubblica, la navigazione non porta da nessuna parte. Anche la rabbia va a corrente alternata. Come le informazioni che la cronaca giudiziaria deposita sulla lavagna dei buoni e dei cattivi. Il secondo Zampolini cammina nel deserto. Nemmeno una foto, una didascalia o un occhiello sugli appalti con la freccia a sinistra. Solo il Corriere della sera dedica tre colonne di un articolo-lenzuolo e mezzo sommario al versante sinistro della cricca. E mette in moto i Prodi, i Rutelli e i Veltroni che prontamente danno del calunniatore a Zampolini. Lo stesso Zampolini che sul fronte destro del sistema gelatinoso è considerato una specie di Cassazione. Strano. Anzi, strabico.
Già a febbraio, quando l’inchiesta sulla cricca era venuta allo scoperto, si erano lette le intercettazioni - della fine del 2007 - di architetti e imprenditori che più o meno dicevano le stesse cose. Ecco Vincenzo Di Nardo: il direttore generale dell’impresa di costruzioni Btp, spiega ad un architetto «il ruolo» decisivo nella scelta di questo o quel progetto di Angelo Balducci, il potente burocrate poi arrestato, «ma anche l’uomo di Rutelli dentro i ministeri». E ancora, disgustato per l’esito di un appalto: «Questo è una appalto banditesco... c’è un sottobosco romano che è fatto di gente che bazzica i ministeri». Tanto che sempre in quelle intercettazioni, nate nell’Italia del centrosinistra e proseguite in quella del centrodestra, Di Nardo racconta di quella volta che apostrofò Di Pietro: «Se vuole le posso dare nome e cognome di chi vince». «Lo so è una vergogna», avrebbe replicato il contrito leader dell’Idv. E il manager, a proposito di Di Pietro, afferma: «Se potesse dimostrare che Rutelli ha gestito questo, che Veltroni ha gestito questo in modo disonesto...». Quattro mesi dopo, Zampolini torna a illuminare quel mondo, ma nessuno gli dà retta.

A parte la troika del centrosinistra che rispedisce al mittente i verbali. Cominciando da Prodi che lo fulmina così: «Il signor Zampolini spara nel mucchio». Quando però spara a destra, manca poco che passi per uno statista.

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