Al Zarqawi si fa a pezzi per confondere il nemico

Gian Marco Chiocci

da Roma

Con i dovuti raffronti il proconsole di Osama in Irak, Abu Musab al Zarqawi, utilizza la medesima tecnica propagandistica sperimentata con successo in Italia dalle ultime «Br-Pcc» o dagli anarchici insurrezionalisti che si firmano con l’acronimo «Fai»: moltiplica e frammenta fittiziamente sigle terroristiche senza consistenza, le rende apparentemente autonome, attribuisce ad ognuna la paternità di attentati o sequestri nei posti più distanti del Paese. E questo per due, anzi tre, ordini di motivi. Perché vuol dimostrare quanto seguito abbia la guerriglia nel Paese con sempre più organizzazioni armate interessate a convogliare gli sforzi nella galassia qaedista da lui diretta. Perché vuol smentire le voci che lo danno in disgrazia rispetto all’ascesa di Abdullah Rashid al Baghdadi, leader della coalizione «Mujaheddin Shura» nata dalla scissione di sei gruppi di Al Qaida. E perché, così facendo, confonde generali e analisti delle truppe alleate che ogni volta si scervellano su questa o quella sigla, sui website che nascono e muoiono nel giro di settimane. La banale realtà è che l’esercito «resistente» vanta sempre meno richieste d’arruolamento, e la leadership del comandante in capo non è più salda come prima.
Con l’attentato di Nassirya la sceneggiata si è ripetuta puntuale. Due diverse formazioni si sono contese meriti e gloria: L’«Esercito islamico in Irak», noto alle cronache per l’uccisione del giornalista italiano Enzo Baldoni, e le «Brigate Imam Hussein» famose per l’uccisione di tre militari britannici del Reggimento Staffordshire ad Amarah e per l’attentato al vicepremier Ahmed Chalabi. Entrambe - secondo l’intelligence - appartengono al medesimo gruppo di vertice del network del terrorista giordano. Hanno colpito ovunque con tecniche pressoché identiche, si muovono in fotocopia e prendono ordini da un’unica centrale.
Sigle, decine di sigle. Che appaiono, scompaiono, ricompaiono a sproposito, e si sovrappongono ad altre formazioni. Se col tempo è pressoché scomparsa l’organizzazione «leone di Dio», e se il sedicente gruppo «Abu Hasf Al-Marsi» (dal nome di Mohamed Atef, luogotenente di Osama ucciso in Afghanistan) che ha rivendicato gli attentati di Londra e Madrid - a detta degli esperti - esiste solo su internet, la tecnica di inabissamento di al-Zarqawi e di contestuale proliferazione di sigle si materializza attraverso i suoi stessi uomini a capo dei gruppi sanguinari storici come «Ansar al Sunna», «L’esercito Islamico in Irak», «Tawhid wal Jihad», «Ansar al-Islam», e il «Movimento della resistenza araba».
Al pari di altre formazioni sanguinarie in questo momento storico tutte utilizzano siti internet dov’è difficile accedere e dove solo gli hacker di al-Zarqawi possiedono la password (su tutti l’indirizzo «al-hesbah.org» che pubblica i comunicati di Al Qaida in Irak e che ha mandato in onda il primo video col volto del Capo dopo l’ultima apparizione col passamontagna mentre tagliava la gola all’ostaggio americano Nicholas Berg). La Cyber-jihad, solo in Irak, conta su circa duecento indirizzi utili riconducibili alle squadre della morte del principe nero in disgrazia. La Jihad, anche per la leadership interna, si combatte dunque sul web. Dove si mischiano le carte, si crea confusione, un po’ come per i sequestri di persona.

Nel caso della Sgrena tre gruppi rivendicarono il rapimento, in altri casi fioccarono le denominazioni più strampalate: «L’organizzazione della Jihad», «Ansar el Zawahiri», il «Movimento islamico dei mujaheddin dell’Irak», l’«Organizzazione della Kihad nel Paese di Rafidain», le «Falangi Verdi di Maometto», l’«Esercito islamico in Irak», le «Brigate Abu Bakr al Seddiq», le «Brigate mujaheddin in Irak» e chi più ne ha, più ne metta. On line ovviamente.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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