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Zarzis, il porto dove i trafficanti preparano l’assalto a Lampedusa

La città tunisina è controllata dalla mafia locale che compra per pochi euro le barche dai pescatori indebitati. E guadagna il 300 per cento

Zarzis, il porto dove i trafficanti preparano l’assalto a Lampedusa

Zarzis (Tunisia) - «La mia barca è arrivata? Sono contento è una gran bella barca e io ci tengo ancora». Al telefono il signor Maher, chiamiamolo così, sembra entusiasta di apprendere della trionfale entrata a Lampedusa della sua Taisir e dei suoi 347 passeggeri. «Quando dieci giorni fa mi hanno offerto di venderla mi piangeva il cuore, l’avevo acquistata un paio di anni fa e per attrezzarla ci avevo speso quasi 500mila dinari (357mila Euro). Purtroppo con quel che si guadagna in mare di questi tempi non ci pagavo più neanche il leasing, le banche minacciavano di portarmi via la casa e così ho smontato gru, reti, celle frigorifere e attrezzature e l’ho venduta a quelli... Ci ho fatto quanto bastava a chiudere i debiti, ma almeno dormo tranquillo».

La storia del barcone di Farhat e dei 347 clandestini appena approdati a Lampedusa qui a Zarzis la conoscono tutti. Almeno tutti quelli che passano le giornate tra le banchine di questo porticciolo di pescatori e gli affollati caffè dove si contratta un passaggio per l’isola dei sogni. In questo crocevia di tavolini fumosi, banchine semi deserte e spiagge sabbiose s’incrociano i fallimenti e i sogni di Zarzis, le disgrazie e le illusioni di questo porto di 110mila abitanti arroccato tra gli sfarzi turistici di Djerba e i traffici oscuri del confine libico. A gestire la roulette della disperazione son pochi croupier senza scrupoli. E senza volto. «Con loro amico non si parla, loro sono come la mafia, controllano, pagano e incassano ma non parlano», ti avverte Anwar. Le vetrine della sua Boutique Champs Elysees, vero regno dei jeans e delle scarpe da tennis taroccate s’affaccia sulla «medina» di Zarzis Le sue vetrine sono una finestra aperta su questa grande lotteria della speranza e del profitto. «Quello della Taisir sognava solo di disfarsi della nave e quelli ne hanno subito approfittato.

Le grosse imbarcazioni sono una manna, le comprano a due soldi e ci fanno sopra una fortuna. Il nostro amico pur di salvarsi dalle banche si sarà accontentato di meno di 400 mila dinari (260mila euro). Loro invece hanno venduto i biglietti per Lampedusa a 2.000 dinari (1.429 euro) l’uno, hanno incassato quasi 690mila dinari, e tolte le spese se ne sono messi in tasca 250mila puliti, puliti».
Quello delle spese è un altro capitolo. A raccontartelo ci pensa Yassine, un pescatore 50enne veterano di tanti viaggi al timone. «Le uniche spese sono il carburante e un bravo timoniere come me. Di notte non siamo in tanti a indovinare la rotta per Lampedusa. Certo oggi c’è il Gps, ma l’esperienza conta. Se vuoi arrivare devi conoscere le correnti, evitare le motovedette e sfuggire ai radar. Per questo a noi offrono sempre tanti soldi».

Di cifre Yassin non parla, ma a Zarzis sono il segreto di Pulcinella. Se il timone è quello di un barcone importante la ricompensa arriva a 25 mila dinari (18mila euro) incassati in anticipo e nascosti sotto il materasso. I soldi non sono l’unico vantaggio. «Se nessuno ci denuncia abbiamo la certezza di tornarcene a casa comodi, comodi perché una volta a Lampedusa dobbiamo solo supplicare di tornare in Tunisia per ottenere un volo di rimpatrio pagato dal vostro governo». Non a tutti va così di lusso. Chiedetelo a Jawar Gobba, un ragazzone di 23 anni scampato alla tragedia del barcone speronato il 18 febbraio scorso da una motovedetta. «Ero stufo di fare il pescatore sulla mia bagnarola, di guadagnare 35 dinari la notte quando va bene e di rimetterci i costi delle reti quando va male. Per trovare i duemila dinari ho chiesto aiuto ai i parenti, ho promesso di restituire tutto appena trovavo un lavoro in Italia o in Europa, invece quella mattina dopo 13 ore di navigazione ci è arrivata addosso una motovedetta e ci ha tagliato in due. Ho visto morire i miei amici, mi son detto che non l’avrei mai più fatto, ma qui a Zarzis non si cava un ragno dal buco e io ci sto già pensando di nuovo».

In effetti la situazione rischia pure di peggiorare. Da giorni porto e città sono invasi dagli 85mila profughi sputati dal confine libico di Ras Ajdir, 70 chilometri più a sud. Assieme agli egiziani arrivano da ieri anche migliaia di nigeriani, chadiani, ghaniani e altri africani terrorizzati di esser scambiati per mercenari e venir fatti fuori dagli insorti anti Gheddafi. «In teoria vogliono tutti tornarsene a casa, ma dategli qualche settimana e incominceranno anche loro a sognare Lampedusa» - ripete convinto Marouane mentre al volante del suo taxi ti accompagna tra i promontori sabbiosi della spiaggia di Lalla Marien, appena tre chilometri oltre i grandi alberghi di Zarzis.

«Questa è da sempre la zona preferita per gli imbarchi, dateci qualche notte e questo diventerà il più grande porto della Tunisia».

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