Controcultura

Zebre, specchi, eros, design. La casa del faraone Mollino

Vent'anni fa riapriva l'appartamento segreto del grande architetto. Siamo andati a visitarlo

Zebre, specchi, eros, design. La casa del faraone Mollino

Tutto, qua dentro, è insolito. Boschi fotografici, zebre, una Tridacna gigante, enormi gusci di tartaruga, un camino a muro probabilmente mai acceso, pareti leopardate, indizi magici e arcani, superfici specchiate e riflettenti, un esercito di farfalle (sono donne? sono anime?), ritratti femminili, finestre mai aperte, finte colonne greche, un terrazzo sul fiume. L'aspetto inquietante è che in visita ci puoi trovare designer danesi, galleristi di Miami, fotografi svizzeri, registi giapponesi, semplici curiosi da Hong Kong, o dalla Nuova Zelanda, magari da Roma. E poi turisti americani, cinesi, australiani. Ma curiosamente - eppure siamo nella casa più bella e misteriosa di Carlo Mollino, personaggio per pochi, si dice «esoterico», e artista di culto, di «rito egizio» - nessuno studente della facoltà di Architettura di Torino, ad esempio.

Per esempio: Carlo Mollino è stato architetto, designer, progettista di interni, scrittore e fotografo (ma anche sciatore, automobilista e pilota di aerei: inventò persino il Bisiluro Damolnar, 1955, un'auto da competizione con cui superò la rigida selezione della 24 Ore di Le Mans). Firmò tutto sommato pochi progetti, e ne realizzò ancora meno (a Torino la ristrutturazione del Teatro Regio, la realizzazione dell'Auditorium Rai e della Camera di Commercio), ma il fatto è che le sue architetture - tutte una diversa dall'altra, pensate ripartendo ogni volta da zero - non hanno uno stile, se non il proprio, ma un'idea. Sono opere che raccontano storie. Basta saperle leggerle.

Chi ci racconta la storia di Casa Mollino - un appartamento al piano nobile di una villetta di fine Ottocento, nel cuore della città di Torino, in via Napione 2, tra piazza Vittorio Veneto e il Po, che scorre inesorabile oltre le finestre del lungo salotto - sono Fulvio Ferrari, chimico e già gallerista d'arte, e il figlio Napoleone, filosofo e autore di una gigantesca monografia su Carlo Mollino scritta con Michelangelo Sabatino, Architect and Storyteller, in uscita per Park Books la prossima primavera. Sono loro, oggi, i padroni di casa.

Ecco, la casa. Mollino la progettò, disegnando gli spazi e scegliendo ogni singolo arredo, tra il 1960 e il 1968, alla ricerca del luogo perfetto. Non per vivere (non ci dormì neppure una notte, non invitava nessuno, se non qualche amica o modella, nonostante un tavolo da otto posti e un servizio di bicchieri di Baccarat da 64 pezzi) ma come ultima dimora segreta, «una casa dello spirito, destinata a ospitare la sua essenza incorporea oltre la parentesi della vita terrena». Poi alla sua morte, senza eredi e senza testamenti, nel 1973, l'appartamento passò a un ingegnere torinese, che ne fece il suo studio, vendendo tutti i mobili. E vent'anni fa esatti, nel 1999, fu acquistato dai Ferrari («Sì, siamo molliniani a livello ossessivo»), i quali hanno ritrovato, ricomprato e riportato nella casa tutti i pezzi, esattamente dov'erano in origine, secondo l'inventario fatto all'epoca per lo Stato italiano. «Ecco, vede il divano di Osvaldo Borsani su cui è seduto? L'abbiamo recuperato a Stoccolma...». E così tappeti, lampade, chaise-longue, sculture, stampe, poltroncine...

Accomodatevi. Benvenuti in una delle 150 case più belle del mondo (secondo il sondaggio di una rivista di design belga), un po' appartamento segreto (neppure i suoi amici più intimi sapevano della sua esistenza, Mollino a Torino aveva altre due case), un po' alcova («Ma una modella amica di Mollino ci ha confessato che la sua sessualità era un po' più bassa della norma...»), un po' set fotografico («Però la stragrande maggioranza delle duemila Polaroid erotiche di cui tutti favoleggiano furono scattate a Villa Zaira, in collina, qui meno del dieci per cento»), un po' luogo esoterico (la ristrutturò ispirandosi alla tomba che l'architetto egizio Kha fece realizzare nel XIV secolo a.C. per sé e per sua moglie Merit), un po' residence d'éternite per se stesso: il faraone Mollino. E un po' casa-autoritratto. Casa come me. Elegante, eccentrica, spiazzante, originale, labirintica, simbolica, notturna («Non apriva mai le finestre»), dove tutto è vero e tutto è falso: vasi cinesi, draghi, porcellane, tessuti, un caminetto a muro in finto barocco...

Silenzio. State passando in un'altra dimensione, fra l'Arte e lo Spirito. La porta d'ingresso ha due specchi, su entrambi i battenti, e oltre la soglia l'ospite si avventura in un mondo alternativo. I tappeti sono come sabbie mobili in cui cadi dentro. Nel corridoio d'entrata maioliche arabescate e una sedia anatomica ispirata al corpo femminile. Pareti a scomparsa e rivelazioni (tutte le case e le cose di Mollino sono matrioske, scatole cinesi, scrigni che nascondono piccoli gioielli). Un soggiorno: poltroncine di raso rosso, divani neri, carta da parati a bosco, tendaggi e un ammaliante affaccio sul Po-Nilo. Una sala da pranzo modernissima eppure arcana con uno stretto tavolo-cartiglio e otto sedie Tulip come petali. Un buio corridoio-cunicolo disseminato di foto ricordo («È il suo viale del tramonto, forse»). Due camere da letto, tra cui la Stanza delle farfalle-anime, una sorta di cripta con un letto a barca in stile egizio, il tappeto blu acqua, il lampadario a uovo, simbolo della creazione dell'universo. E un bagno come il Mediterraneo. Vita e morte, Eros e vita.

La casa sembra morta, e invece è vivissima. I due sacerdoti - Ferrari padre e figlio - l'hanno resa un museo vivente. Nessun sito internet, nessuna pubblicità («Noi cerchiamo di nasconderci, non di apparire»), entrata solo su prenotazione («Gruppi fino a sei persone, e la visita guidata dura due ore»), low profile e massima fascinazione. E infatti la fama del luogo percorre tutto il mondo: fan di Mollino (i cui pezzi di design sono esposti nei maggiori musei tra Londra e New York), collezionisti, artisti, fotografi, filmaker arrivano dall'altra parte del globo per mettere piede qui dentro.

Una volta fuori, usciti da un super mondo creato da un genio senza vincoli né tabù, che sembra spiarti da dietro le tende, resta la lezione di un viaggio sapienziale, unico nel suo genere. «Perché la conoscenza è l'emozione, o almeno, quelle che restano.

Non le nozioni: quelle si perdono».

Commenti