Zeffirelli: San Francesco? Doveva farlo McCartney

Il regista (nella foto da giovane) svela che il cantante avrebbe dovuto essere protagonista di "Fratello sole, sorella luna". Un volume pieno di aneddoti ripercorre la sua vita e la sua carriera tra cinema, teatro e opera lirica

Zeffirelli: San Francesco?
Doveva farlo McCartney

È andata benissimo così. Fratello Sole, Sorella Luna fu un grande successo mondia­­le lo stesso. Ma quando si arri­va a pagina 54 dell’autobio­grafia per immagini di Fran­co Zeffirelli e si legge che ad intepretare San Francesco avrebbe potuto essere Paul McCartney (con gli altri Beat­les nel ruolo dei monaci suoi compagni), allora ci si chiede che cosa avrebbe potuto suc­cedere e quanto quel film avrebbe potuto essere più di­rompente. Si era nel 1972 e il regista coltivava l’idea di rap­presentare la ribellione del santo di Assisi alla società ari­stocratica cui apparteneva nel solco della contestazione montante. Ma, nonostante i Fab Four «fossero entusiasti del copione e inebriati dalla figura del santo», i tempi del­le riprese non collimavano con gli impegni della band di Liverpool. A quel punto Zeffi­relli pensò a Al Pacino: «Biz­zarro, estroverso, era straordi­nario, ma di fronte alla macchina da presa mi parve ec­cessivo per il ruolo di un santo». Infi­ne scelse Graham Faulkner. È uno dei tanti aneddoti contenu­ti i­n Franco Zeffirel­li. L’Opera comple­ta ( De Agostini, pa­gine 510, euro 120) monumenta­le - anche nelle di­mensioni - minie­ra di appunti, dise­gni, fotografie di scena che il maestro ha deciso di mettere a disposizione di fan e cultori con la cura di Caterina Napo­leone e gli scritti di Masolino D’Amico per la sezione dedi­cata al teatro, di Giovanni Ga­vazzeni per l’opera, di Suso Cecchi D’Amico e Tullio Kezi­ch per il cinema. Così Zeffirel­li ci consegna l’antologia di «un mondo ormai “dissacra­to” e di cui per certi versi mi sento un sopravvissuto», una sorta di eredità artistica, ine­sauribile di segreti e rivelazio­ni, di confidenze e predilezio­ni. Dall’infanzia difficile, fi­glio di una relazione adulteri­na e orfano di madre a sei an­ni (eppure «si schiera violen­temente contro l’aborto» an­nota la Napoleone) alla for­mazione giovanile immersa nell’umanesimo fiorentino filtrato dalle influenze anglo­sassoni, passando per Verdi, Shakespeare e la letteratura del Grand Tour, fino alla fre­quentazione di Giorgio La Pi­ra e all’incontro con Luchino Visconti,nel ’45.Siamo al Tea­tro della Pergola durante le prove della Via del tabacco di Caldwell, Zeffirelli è lì per aiu­tare le scene del Maggio Musi­cale Fiorentino, ma resta stre­gato dal carisma di Luchino. Anche il giorno in cui fece «una scenata ai suoi assisten­ti perché non avevano trova­to l’interprete adatta per il ruolo di Nonna Lester.L’indo­mani mattina - ricorda Zeffi­relli - sono corso all’ospizio. Ho chiesto se per caso c’era un’anziana attrice.Come im­maginavo, viveva ancora lì una ex ballerina del circo, Vir­ginia Garattoni, una minuta signora di ottantaquattro an­ni... L’ho portata da Visconti, il quale rimase entusiasta». Nacque l’intesa con l’autore di Bellissima e Senso nei quali Zeffirelli comparirà come aiu­to regista. Ma è la grande musica, Ver­di e Puccini, la sua passione principale. La cura delle sce­nografie e la particolare sensi­bilità per i costumi lo portano ad avvicinare il maestro Tul­lio Serafin, cultore del «reci­tar cantando», e a entrare alla Scala prima del milanese Vi­sconti, suo scopritore e mae­stro. A metà dei Cinquanta c’è l’incontro con la Callas, la consacrazione americana con La Traviata e quella lon­dinese con Lucia di Lammer­m­oor interpretata da Joan Su­therland. Poi arriva il teatro, con il prediletto Shakespea­re, portato anche al cinema con Romeo e Giulietta e La bi­sbetica domata . Per la quale è Richard Burton a suggerire l’idea. E anche qui s’impone l’estetica di Zeffirelli. Liz Taylor aveva la sua costumi­sta di fiducia, Irene Sharaff, mentre il regista preferiva Da­ni­lo Donati che aveva già sug­gerito a Visconti e Fellini. «Certo di essere dalla parte della ragione... for­zai la mano e riu­scii a persuadere i Burton a rinuncia­re alla collabora­zione della Sha­raff... La decisione si rivelò vincente e la stessa Sharaff, vedendo il lavoro di Donati, si per­suase ad eclissar­si ».

Tuttavia, sebbe­ne lui si definisca più un buon artigiano che un artista, sareb­be un errore ritenerlo soprat­tutto un maestro di virtuosi­mi scenici. A proposito di atto­ri, per esempio, nel Gesù di Nazareth , Robert Powell avrebbe dovuto interpretare Giuda. Poi Zeffirelli lo vide...

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