Zenga, l’Uomo Ragno sempre un po’ bambino

Alzi la mano chi, almeno una volta nella propria vita, non ha sedato una contesa con la frase «il pallone è mio e decido io». Tutti colpevoli, giusto? Giustificazione fanciullesca, e anche un po’ canaglia, per imporre il proprio volere, per far sentire la propria superiorità. Scaramucce tra bambini, insomma. Succedeva poi che interveniva il genitore di turno, metteva in castigo il pargoletto e - danno nella beffa - lasciava giocare gli amichetti proprio con il pallone del figlio. Ora avventuriamoci in una bizzarra similitudine: il bambino prepotente è Zenga, il pallone sono i 18 punti del Catania in 11 giornate, roba che durante il caldo precampionato d’agosto, sull’isola non si sognavano nemmeno dopo abbondanti tracannate di Etna bianco superiore, l’oggetto del contendere sono i fischi dello stadio Massimino all’indirizzo di Sardo e Sabato e il papà severo, ma anche molto attento alla giusta crescita e maturazione del figlio, è il presidente del Catania, Antonino Pulvirenti.
Capita così che dopo la vittoria sul Cagliari, davanti ai cronisti Zenga si lasci andare in un «un’analisi molto semplice: in 11 partite il Catania ha fatto 18 punti. Se il Catania ha bisogno di un altro allenatore si accomodi». Più che giusto: cosa mai avranno da recriminare a Catania? Però poi ci si accorge che gli stessi concetti l’uomo ragno li aveva espressi dopo la salvezza dello scorso maggio e dopo la sconfitta contro l’Inter.

E adesso chi ha ragione? Ancora il discoletto che porta il pallone o il papà-presidente che lo bacchetta con un «poteva evitare»? Per questa volta il caso è chiuso. Anche se non tutti hanno la fortuna di avere un presidente come Pulvirenti...

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