Zigoni: «Era matto, era libero. E ho provato ad imitarlo»

«Era il mio idolo, intendeva la vita come me: indipendenza, nessun vincolo e belle donne. L’ho incontrato a Manchester, sembrava un divo che col calcio si divertiva»

Se le dico George Best, lei, Gianfranco Zigoni, calciatore estroso come pochi altri, cosa mi risponde?
«Se n’è andato uno dei più grandi, un calciatore vero proprio perchè era uno spirito libero».
Ma lei si riconosce in Best?
«Era il mio idolo, lui come Skoglund, Meroni, Sivori. Guarda caso tutti campioni che se ne sono andati prematuramente. Al punto che quando Sivori è morto, ammetto, ho pianto e non me ne vergogno. Amavo anche tanto Maradona, aveva cuore e anima, in questo mondo piatto di calciatori-pedatori».
Tutti calciatori un po’ fuori di testa, gente che non ha niente dell’atleta dei giorni nostri. È d’accordo?
«Non erano loro fuori, così come non lo ero io ai miei tempi. Eravamo tutti noi stessi. George che beveva birra e andava a donne era solo un uomo normale che amava la vita. Il calcio veniva dopo, prima c’era l’uomo, prima c’è sempre la vita».
Ci dia allora la sua immagine idealizzata di George Best.
«Era un uomo libero, un uomo che ha preso il calcio come voleva lui, non come una professione esasperata. Ha voluto bruciare la sua vita per viverla fino in fondo. Per me è un mito, non solo come calciatore, ma soprattutto come uomo».
Ha mai avuto occasione di incontrarlo come avversario?
«Con la Juventus ho giocato contro il Manchester United, ma lui non c’era perchè infortunato. L’ho visto fuori dal campo, sembrava una rock star, ma non posava, non faceva scene, non faceva il personaggio a tutti i costi. Quello era il vero Best. Proprio per questo mi fanno ridere i calciatori di oggi, quei ragazzini come Cigarini del Parma che s’infuriano perchè vengono sostituiti».
Ma nessuno vorrebbe mai uscire, forse neanche lei usciva volentieri durante la partita.
«Se è per questo, mi arrabbiavo anch’io, ma chissenefrega. Era troppo bello giocare e divertirsi. Perchè è questa la vera essenza del calcio».
E se le dicessi che lei era un po’ il Best di casa nostra?
«Certo che lo ero, volevo imitarlo non per pura emulazione, ma proprio perchè mi sentivo come lui: libero, indipendente, senza vincoli, mi piaceva bere, mi piacevano le belle donne, volevo divertirmi. Ecco perchè ho avuto la forza, o l’incoscienza, di dire no all’Inter di Fraizzoli nel 1974. Ho preferito restare a Verona in serie B, prendevo 25 milioni e ho rinunciato agli 80 che mi offriva l’Inter per amore del Verona. E adesso dimmi se sono matto?».
Sì, però la pelliccia bianca, il cappello da cow boy, la pistola nella fondina sotto l’ascella e le tante altre estrosità di quei tempi...
«Mi sentivo di vivere così, per la pelliccia e il cappello avevo sfidato Valcareggi che si era permesso, “io il più grande del mondo”, di lasciarmi fuori una domenica.

E allora ho fatto lo show, dopo aver scommesso con i miei compagni, che avrei avuto io tutte le attenzione, altrochè la partita al Bentegodi senza di me».
E adesso cos’è rimasto di quel Zigoni simpaticamente pazzo?
«Ieri ho compiuto 61 anni, ho 4 figli grandi e mi diverto ad allenare i pulcini del Basalghelle. Ma la vita mi piace sempre, eccome se mi piace».

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