Zimbabwe, vince la cricca che tiene in vita Mugabe

Zimbabwe, vince la cricca che tiene in vita Mugabe

Con il vergognoso voto di ieri il candidato unico, Robert Mugabe, potrà continuare a considerarsi il presidente a vita dello Zimbabwe. Una vittoria finta, dopo il ritiro del candidato dell’opposizione Morgan Tsvangirai, e resa possibile solo dalla strategia di violenze, brogli e intimidazioni della cricca del presidente. Ministri, generali e capi dei servizi segreti con le mani sporche di sangue. Molti sono fedelissimi del dittatore dai tempi della guerra di «liberazione» quando era conosciuto come il «compagno Bob». Ex marxisti, obbligati a stare al potere, perché altrimenti finirebbero davanti ad una corte internazionale per crimini di guerra. In realtà sono loro a tenere in «ostaggio» il compagno presidente, che, secondo le indiscrezioni, ad 84 anni sarebbe stato anche pronto a mollare in cambio dell’immunità.
La gente dello Zimbabwe li chiama «securocrat», burocrati della sicurezza, che non vogliono sentir parlare di cambiamento. Il capoccia dei duri e puri è il ministro per gli alloggi, Emmerson Mnangagwa. Due anni fa iniziò a radere al suolo le baraccopoli dove si annidava il cuore povero dell’opposizione a Mugabe. Indicato come suo successore, ha 62 anni ed è componente anziano del politburo dello Zanu Pf, il partito del presidente. Mnangagwa, che ha studiato da avvocato, ha fondato la Central intelligence organisation, la polizia segreta. Si è distinto nel 1980, con il massacro di 20mila persone nel Matabeleland, roccaforte di Joshua Nkomo, rivale di Mugabe. Grazie alla guerra in Congo degli anni ’90, che coinvolse 11mila soldati dello Zimbabwe, è diventato immensamente ricco, approfittando di traffico di armi e contrabbando di minerali pregiati. Il suo nome è citato in diversi rapporti delle Nazioni Unite. Il ministro può fare affidamento sul famigerato Comando operativo congiunto. Una specie di gabinetto di sicurezza, che di fatto ha preso il potere dopo la sconfitta di Mugabe al primo turno delle presidenziali. Il Comando è guidato da tre generali. Prima del voto hanno emesso un comunicato in cui annunciavano di non accettare un «fantoccio» dell’opposizione come presidente. Il generale Constantine Chiwenga, 50 anni, comanda le forze armate. Seguì giovanissimo Mugabe nella boscaglia del Mozambico durante la guerriglia d’indipendenza. Il maresciallo dell’aria, Perence Shiri, è capo dell’aviazione dal 1992. Durante il massacro nel Matabeleland controllava la spietata Quinta brigata, addestrata dai nordcoreani. I suoi uomini sventravano le donne incinte per estrarre i feti dei «traditori non ancora nati». Shiri è cugino del presidente e si fa chiamare il «Gesù nero», per il suo potere di vita e di morte. Un altro fedelissimo di Mugabe è Paradzayi Zimondi, 60 anni, responsabile delle carceri, dove sono stati rinchiusi negli ultimi mesi oltre 2000 oppositori. Un uomo chiave è Brighton Bonyongwe, 47 anni, capo della polizia segreta. Il gabinetto ombra pianifica le violenze con Joseph Chinotimba, leader dei veterani della guerra di liberazione, già utilizzati per espropriare le terre ai bianchi. Al loro fianco operano i «giubbotti verdi», milizia paramilitare fedele a Mugabe, che risponde al capo della polizia Augustine Chihuri.
Le organizzazioni per i diritti umani accusano la cricca del presidente, di avere orchestrato ad arte le violenze terrorizzando l’opposizione.

I morti sono stati 85, spesso bruciati vivi o fatti a pezzi a colpi di machete. Dall’inizio della campagna elettorale nelle galere sono stati torturate 1.300 persone, 35.000 oppositori sono stati costretti a fuggire dalle loro case.

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