Ridurre cronaca giudiziario-politica italiana a pretesto per raccontare sventure femminili è la trovata di A casa nostra di Francesca Comencini. La regista perde così, scambiando il fine per il mezzo, l'occasione del suo primo bel film, offertale dalla fotografia di Luca Bigazzi: Milano non veniva mostrata così, nel suo gelo non solo atmosferico, dai tempi dei romanzi di Scerbanenco. Anche l'interpretazione di Luca Zingaretti, credibile, misurata, perfino sofferta nel ruolo del banchiere, mezzo Ricucci e mezzo Berlusconi, confortava le ambizioni.
Ma, dopo i primi venti minuti i consigli d'amministrazione cedono ai consigli di gastronomia, l'alta finanza cede alla Guardia di finanza e nel peggiore dei modi, con un'ufficiale che sibila «Voi, vi riconosco dall'odore», come se i ladri in cravatta puzzassero. Più facile che, di miseria, puzzino i derubati.
Il personaggio di Valeria Golino è infatti un capitano che mette troppo di personale nel lavoro e troppo di poliziesco nel privato. E se è possibile che il suo destino di frustrata s'incroci con altre donne, malate, morenti o comunque vittime, privilegiare i loro disagi o drammi è incoerente con quello che il film pareva essere all'inizio.
Quando le figurine femminili si fanno avanti coi loro problemi non sempre rispettabili, si sente che essi riguardano solo loro e i loro parenti. Tanto più che il film, schierando troppi personaggi, non si concentra su nessuno: propone solo una la collezione di bozzetti. A questo punto il titolo A casa nostra significa sempre meno «in Italia» e sempre più «in tinello».
Alla Festa di Roma, dove il film era in concorso, la proiezione era stata accolta da fischi, sbagliati quanto la conversione del film dal politico al privato.
A CASA NOSTRA di Francesca Comencini (Italia, 2006), con Luca Zingaretti, Valeria Golino. 102 minuti
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