LO ZOPPO SENZA STAMPELLA

La zucca-coalizione di Romano Prodi doveva dopo le elezioni trasformarsi in cocchio scintillante: anche Fausto Bertinotti ormai non era più comunista. Invece la zucca è sempre più zucca. Ora ci raccontano che con un po' di zucchine tipo Marco Follini l'operazione «cocchio scintillante» potrebbe riuscire. Ma veramente, allargando un po' il centro del centrosinistra, si risolvono i problemi dell'Italia?
Chi si oppone al risanamento della spesa pubblica non è solo il ministro Paolo Ferrero di Rifondazione: è la parte centrale della Cgil che non vuole una razionalizzazione del pubblico impiego (in questo spalleggiata dalla Cisl), e vuole passi indietro sulla flessibilità del lavoro (e su questo la Cisl non ci sta). Una politica estera insieme europeista e atlantica non è osteggiata solo dai sette senatori contro la missione in Afghanistan, ma da tutto lo schieramento comunista-verde che condiziona i nuovi indirizzi della Farnesina, ormai più simili a quelli del Lussemburgo che non a quelli della quinta-sesta economia del mondo.
L'impossibilità di una politica sia economica sia internazionale realistiche non è rimediabile grazie a qualche formichina. In certi settori del centrosinistra la consapevolezza di questa realtà alimenta la tentazione di una nuova strategia della tensione. Negli ultimi mesi si è visto uno scandalo a Potenza che ha distrutto grazie alle intercettazioni il principale collaboratore di Gianfranco Fini, perseguito per un reato rapidamente dimostratosi inconsistente. Si sono imputati come tangenti a Raffaele Fitto, versamenti per la sua campagna elettorale regolarmente registrati. La scelta di Guido Rossi alla Figc era parsa volere garantire, proprio per il carattere aspro del chiamato, un processo sereno alle cose del calcio: invece, poi (grazie anche a Francesco Saverio Borrelli) si presenta come il prodromo di scelte squilibrate. Infine l'arresto da parte dei pm di Milano del numero due del Sismi è una novità nel sistema dei rapporti tra corpi dello Stato in un Paese occidentale. Dove le aree d'impunità non sono ammissibili: ma la dialettica istituzionale va rispettata. Né sfugge come il protagonista di quest'ultimo episodio sia Armando Spataro, già in prima fila nella campagna referendaria per il no alle riforme costituzionali del centrodestra.
Certo, vi sono segni in controtendenza: il comportamento del presidente della Repubblica, del Guardasigilli, la scelta unitaria alle Camere per la vicepresidenza di Nicola Mancino al Csm. Ma è forte la tendenza a radicalizzare lo scontro per spezzare e estromettere dal gioco democratico un'opposizione che rappresenta esattamente la metà degli italiani. Ecco perché, oggi, il problema non è trovare ruote di scorta a Prodi, ma - al di là del ragionevole sostegno ai nostri soldati in Afghanistan - liquidare l'esperienza del centrosinistra che ha dato di sé un'immagine falsa (non ha concordia programmatica) e non ha abbastanza - nelle sue condizioni politiche - voti (innanzi tutto al Senato) per governare.

Chiusa questa esperienza si dovrà votare? Può darsi che sia utile una fase di convergenza nazionale per fare qualche riforma (sistemare il Titolo V della Costituzione, fare una legge elettorale meno disgregante - magari restringendo i collegi proporzionali -, vendere un bel po' del patrimonio dello Stato come chiede Giuseppe Guarino, garantire una politica estera all'altezza del nostro peso, contenere le nuove insorgenze della magistratura militante) e aspettare qualche mese per andare al voto. Ma ciò è il contrario del fornire stampelle all'irrimediabilmente zoppo governo Prodi.

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