ZUPPA DI PORRO Euforia da speculazione sulle banche italiane

I forti rialzi dovuti a fattori tecnici. Il settore resta nel mirino E in Unicredit, con l’arrivo dei russi, cambierà la musica

«Non si fidi dei rialzi di ieri», così uno dei gran­di banchieri italiani, commentava la bo­nanza che si è vista ieri a Piazza Affari per le banche italiane. Unicredit ha fatto segnare un più 15 per cento, Intesa più 12, Mediolanum e Mediobanca più 9 per cento e Mps più sei per cento. Una giornata così non si vedeva da secoli. «Quello che è successo è molto semplice - dice un altro dei nostri intervistati - : sono state chiuse tutte le posizioni short sulle banche. E su quelle italiane ce n’erano di enormi». Tra i top banker del nostro sistema la lettura tecnica del vertice europeo è unanime. Si partiva dall’attesa di un flop, che non c’è stato. La Germania è più sola, rispetto al­l’asse franco-italo-spagnolo. E, dunque, la spinta a vendere allo scoperto gli istituti di credito è venuta me­no. «Un ribassista - dice il nostro terzo interlocutore -ha già fatto un mucchio di soldi sui nostri titoli. Visti i ri­sult­ati del vertice e la capaci­tà di comunicarli bene, piut­tosto insolita per la Ue, non c’è nessuno che voglia te­nersi il rischio di ricopri­re le proprie posizionishort, e dunque ieri sono tornati a com­prare un po’ tutti». Insomma, i ban­chieri so­no piutto­sto ottimisti e spie­gano i buoni anda­mentidi ieri più che con un ritrova­to sentimento po­sitivo per le nostre banche, con un movi­mento di tipo tecni­co. Infine una picco­la prova del nove. Le quotazionidelle banche sono proporzio­nalmente salite molto più di quan­to giustificherebbe la discesa de­gli spread. Ci spieghiamo meglio. Il calo dei differenziali di tassi tra Italia e Germania ha un impatto di­retto sui bilanci dei nostri istituti di credito. Ebbene, lo spread è ieri sceso, ma non in modo così clamo­roso. Il balzo delle banche, come visto, è stato spettacolare. Testi­monianza questa che la risalita dei titoli bancari nasce sostanzial­mente dalle ricoperture di posizio­ni speculative. *** C’è un signore che nel giro di un paio di giorni si è messo in tasca un centinaio di milioni di euro. Il miliardario russo, Mikhail Frid­man, non poteva certo conoscere l’esito del vertice Ue, ma il suo in­vestimento in Unicredit si è rivela­to davvero azzeccato, soprattutto per il tempismo. Proprio in setti­mana nel capitale di piazza Cor­dusio è entrato il Fondo Pamplo­na con un tondo 5 per cento. Anzi, per essere corretti,con un’azione in più del 5 per cento. Ciò permet­te al fondo di salire fino al 10 per cento senza fare comunicazioni pubbliche. Il fondo, anche se indi­rettamente, è di Fridman. Un oli­garca che ha fatto fortuna ai tem­pi di Eltsin e che non si può certo definire un investitore silente. Al­tro che libici. Gli investitori del fondo sovrano di Tripoli che crea­rono tanto trambusto per la loro entrata nella banca di piazza Cor­dusio, sono tradizionalmente dei partner silenti: sono lì in consi­glio e non fanno altro che aspetta­re la cedola. Fridman è di tutt’al­tra pasta: è a capo di un conglome­rato. E una delle sue caratteristi­che è quella che, una volta entra­to in una società, non si acconten­ta della porta di servizio: vuole co­mandare. Basta vedere il pastic­cio della joint venture petrolifera Tnk-Bp, dove Fridman ha un quarto del capitale, e dove gli in­glesi di Bp hanno chiesto di usci­re, proprio per le supposte inge­renze dei partner russi. Altrettan­to difficili sono i rapporti nella so­cietà di tlc russa Vimpelcom, di cui il nostro ha un quarto del capi­tale, con l’egiziano Sawiris, che gli italiani conoscono bene per Wind. Insomma, nei prossimi me­si c’è da aspettarsi che il placido board di Unicredit ne sentirà del­le belle. *** Bel colpo di Giorgio Squinzi, il numero uno della Confindustria. In modo del tutto inaspettato no­mina alla direzione generale del palazzone dell’Eur una giovane di­rigente, fuori da tutti i giochetti del palazzone romano. Per carità, chi legge questa zuppa, sa quanta stima sia riservata al direttore uscente, Gian Paolo Galli, un fine economista, che ha saputo tempe­rare e dare sostanza ad una presi­denza che si è rivelata troppo poli­tica, come quella Marcegaglia. La nomina di Marcella Panucci ha pe­rò rotto tutti i giochi che si erano creati per la successione di Galli: furibondi gli uomini dello staff del­l’ex presidente di Federchimica, molti dei suoi grandi elettori e il si­ste­ma dei direttori della Confindu­stria. Entrata alla fine degli anni ’90, la Panucci era da pochi mesi capo del legislativo del ministro della Giustizia, Severino. In un pri­mo tempo Squinzi le aveva offerto di diventare sua assistente, poi ge­neral counsel ( figura inedita) e, in­fine, pur di strapparla al ministero della Giustizia dove era in odore di promozione, è arrivata la nomi­na a direttore generale.

Musi lun­ghi da parte di alcuni vicepresi­denti e in particolare di Aurelio Re­gina, che sperava in un altro gene­re di nomina. Squinzi sta costruen­do pezzo per pezzo una squadra a lui molto vicina,che smonta l’illu­sione, che alcuni si erano fatti, di una Confindustria guidata da un padre nobile, ma gestita da molti figli interessati.

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