In 100mila contro Prodi

In 100mila contro Prodi

Massimo Marracci

Ma quanti siamo? Questa è stata la domanda che più frequentemente si sono rivolti gli organizzatori della manifestazione del 1° settembre a Roma, ove i cacciatori hanno sfilato per le vie del centro rivendicando il riconoscimento dei loro diritti e contro il decreto legge del Governo su deroghe e Zps. La partecipazione ha sorpassato lungamente ogni più rosea previsione, con centinaia e centinaia di pullman giunti da tutta Italia, senza contare coloro che hanno raggiunto la capitale in treno o in auto.
Avvalendosi delle comunicazioni della Questura quasi 100mila. Una marea umana con la testa in piazza Venezia e gli ultimi che dovevano ancora lasciare piazza della Repubblica, a due chilometri di distanza. Una marea rumorosa, vivace, fracassona quanto serve in ogni manifestazione che si rispetti e, soprattutto, molto corretta e civile. Chi è onesto non ha nulla da temere e, soprattutto, difende la propria dignità a voce alta e guardando negli occhi i propri interlocutori. Questo hanno fatto i 100mila a Roma, seguendo in corteo i presidenti delle associazioni venatorie organizzatrici: Franco Timo per Federcaccia, Giovanni Bana per l'Anuu Migratoristi, Gelsomino Cantelli per la Libera Caccia, Maria Cristina Caretta per Confavi, Italo Fanton capo delegazione Face Italia, accompagnati da Piero Fiocchi presidente del Cncn, Massimo Silvani presidente del Cpa e Luciano Rossi presidente Fitav. Su tutti uno striscione significativo: «Uniti da una stessa passione e non divisi da una tessera associativa».
Un'affermazione forte che, al di là del riscontro suscitato dall'evento (era dalla metà degli anni '80 che i cacciatori italiani non sfilavano più a Roma), dovrà necessariamente trovare applicazione, se veramente desideriamo il bene della caccia e non l'esclusiva comodità di certe poltrone. E così è stato ribadito anche nel comizio tenutosi in piazza Venezia, ove i presidenti si sono succeduti gridando a voce chiara quanto sia ora di finirla con le strumentalizzazioni e le ghettizzazioni antivenatorie, con istituzioni che negano ai cittadini-cacciatori persino di essere ricevuti e ascoltati, come è avvenuto anche il 1° settembre. Inaudito ma vero, tanto è che davanti a Montecitorio ci si è dovuti limitare a un presidio con qualche centinaio di manifestanti, giusto per ricordare al «palazzo» lo sdegno per il trattamento ricevuto. Cosa possiamo ricavare da tutto ciò? Innanzitutto, che i cacciatori italiani ci sono e sono ancora ben ritti in piedi, nonostante i colpi inferti; in secondo luogo, che determinate associazioni venatorie meritano realmente di essere definite tali, mentre altre, tutte quelle che non hanno partecipato o, addirittura, che si sono espresse contro la manifestazione, farebbero meglio a dedicarsi a promuovere altre attività di fiancheggiamento al governo; in terzo luogo, che il diritto al dialogo e al confronto democratico non può essere negato da nessuno, men che meno da coloro che della «concertazione» hanno fatto un cardine (teorico) della loro azione di governo; infine, che il malessere serpeggiante nella società italiana del 2006 fedelmente si rispecchia nel popolo dei cacciatori, nel quale albergano tutti i ceti e tutte le professioni.


Che dire di più? Solo un «grazie» idealmente rivolto a tutti coloro che hanno fatto sì che il 1° settembre 2006 rimarrà nella nostra memoria in maniera indelebile, non certo punto d'arrivo ma di partenza per nuovi traguardi.

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