A 11 anni sulla sedia a rotelle per un intervento non riuscito

A 11 anni sulla sedia a rotelle per un intervento non riuscito

È entrata in sala operatoria con mille speranze. «Vedrai, andrà tutto bene» le avevano detto i genitori e i compagni di classe. E lei già sognava di correre con le amiche e magari farsi una bella partita di pallavolo in cortile. Invece non cammina più. Gira su una sedia a rotelle che la accompagnerà per tutta la vita. La triste storia è capitata a una bambina di 11 anni che ha perso l’uso delle gambe dopo un intervento mal riuscito all’istituto clinico Città studi di Milano, ex Santa Rita. Secondo l’accusa non sarebbero stati fatti gli esami preparatori prima della sala operatoria. È questa, per lo meno, l’ipotesi d’accusa ricostruita dal pm di Milano Ferdinando Esposito del VI dipartimento guidato dal procuratore aggiunto Nicola Cerrato che ha iscritto nel registro degli indagati il medico che operò così come il secondo operatore e l’anestesista dell’equipe.
Il reato ipotizzato è di lesioni colpose. L’intervento venne eseguito il 19 ottobre del 2010 all’ospedale Città Studi di Milano e da allora per la piccola paziente, che ora ha 12 anni, le speranze di correre si sono totalmente spente. Quel giorno la bambina, affetta da scoliosi idiopatica evolutiva dorsale destra, venne sottoposta ad un delicato intervento chirurgico per la correzione della colonna vertebrale. E, anche se i rischi per interventi del genere sono alti, la sua famiglia, arrivata a Milano da Foggia, non si aspettava certo delle conseguenze tanto gravi.
Secondo l’accusa, i medici «cagionavano alla donna gravissime lesioni personali consistite nella definitiva perdita della capacità deambulatoria» sia perché non sarebbero stati svolti «gli opportuni esami clinici preparatori - quali una risonanza magnetica preoperatoria ovvero una semplice radiografia - che potessero approfondire il quadro clinico precedente all’intervento chirurgico». Ma non solo. Secondo l’accusa l’intervento, effettuato in modo tecnicamente imperfetto, «si rivelava essere troppo invasivo in relazione alla metodica prescelta», comportando l’insorgenza di una «paraparesi spastica con vescica neurologica e cagionando», di conseguenza alla bambina «irreversibile perdita della capacità di camminare». Declina ogni addebito nei confronti del proprio assistito l’avvocato Paolo Vinci, difensore di uno degli indagati. I medici avrebbero tentato tutto il possibile durante quelle sette ore e mezza di intervento.
La bambina era già in condizioni gravi, molto gravi. La scoliosi da cui era affetta era parecchio pesante, tanto da comprometterle perfino l’aspettativa di vita. Il rischio in sala operatoria era stato comunicato, eccome, ai genitori, che avevano anche firmato tutti i documenti di autorizzazione del caso. «La denuncia è arrivata a metà del 2011 - spiega il direttore sanitario dell’istituto Città Studi Pasquale Ferrante - e abbiamo collaborato come potevamo con i magistrati consegnando per intero sia la cartella clinica sia tutti gli esami che sono stati effettuati prima dell’operazione. E di accertamenti ne sono stati fatti tanti.

Tuttavia noi siamo responsabili di ciò che abbiamo accertato dal giorno del ricovero presso il nostro istituto, non del quadro clinico emerso precedentemente». Dai cd alle radiografie: un lungo elenco di esami è nelle mani dei magistrati che ora dovranno accertare eventuali omissioni e responsabilità.

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