In 15 anni al Nord +30%. Al Sud solo +20%

È tutta una questione di numeri: fatto cento il valore dell’economia italiana, in termini di redditi da lavoro dipendente, il Sud si colloca sotto quota novanta, il Nordest in media nazionale e il Nordovest sfiora i centodieci. In compenso, vive in Meridione quasi un pensionato d’invalidità su due: 1.900.000 pensioni su un totale di 4.200.000, il 45% del totale nazionale. In questi numeri c’è tutto il divario tra l’economia del Nord e quella del Sud, una piaga antica quanto l’Unità d’Italia.
Ma ancora drammaticamente attuale, come ha ricordato il ministro Renato Brunetta, «mettendoci il dito», con la vis polemica che gli è propria, nei giorni scorsi. «Se non avessimo la Calabria - ha detto - e la conurbazione Napoli-Caserta, o meglio se queste zone avessero gli stessi standard del resto del Paese, l’Italia sarebbe il primo Paese in Europa». Una battuta che pare fatta apposta per gettare benzina sul fuoco, in tempi di discussioni sul federalismo: ma in realtà le affermazioni del ministro vengono da lontano. «A metà degli anni Novanta - scrive nel suo libro Sud, un sogno possibile, da cui sono tratti anche i dati precedenti - le differenze risultano ancora più accentuate: il Pil del Centro-Nord è cresciuto in quindici anni di circa il 30%, collocandosi ben oltre il 20% al di sopra della media nazionale. Nel Mezzogiorno, nello stesso periodo, la crescita è stata attorno al 20%, collocando così l’area di circa il 35% al di sotto della media nazionale». E se vogliamo citare un dato più recente, prendiamo l’ultima fotografia scattata dall’Istat, che mostra come il Pil nel Sud vale praticamente la metà rispetto al Nord. Cenerentola d’Italia è la Campania dove il Pil pro-capite è pari a 16.900 euro, preceduta, sia pure di poco, dalla Calabria con 17mila euro a persona.
Per dare un’idea, in Lombardia la ricchezza prodotta è pari a 33.600 euro a persona, il doppio rispetto alla Campania. I dati, in realtà, si riferiscono al 2008, prima quindi della grande crisi che ha visto tutte le regioni, chi più chi meno, lasciare sul terreno qualche punto di ricchezza prodotta. Ma è altrettanto vero che nel periodo 2000-2008, a differenza di quanto avviene nel resto d’Europa, in Italia non si registra alcun allineamento dei valori del Pil pro capite delle varie Regioni: in altri termini, non c’è nessuna riduzione della distanza tra le regioni «in via di sviluppo» e quelle più ricche.

E se volessimo riprendere la provocazione di Brunetta, chiedendoci quanto potrebbe valere l’economia italiana senza le regioni più deboli? Calcoli del genere, come è facile intuire, hanno sempre un valore relativo: tuttavia, volendo azzardare un’ipotesi, e rifacendoci all’elaborazione Eurostat 2008, l’ultima disponibile, vediamo che il Pil di Campania, Calabria e Sicilia insieme è pari a 201.456 miliardi e quello italiano è di 1.423.048 miliardi: il conto è presto fatto: 1.221.592 miliardi, ma con un tasso di crescita ben più alto.

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