Mano sul petto come per cantare l’Inno nazionale e diciamo la verità: ora che finisce il giubileo d’Italia ci sentiamo un pochino più italiani o no? L’altroieri si è riunito il Comitato dei Garanti dell’Unità d’Italia per chiudere i 150 anni. Il bilancio è d’obbligo per dare un senso all’evento attraverso tre domande veraci: è stata una celebrazione o una commemorazione? È stata una rievocazione retorica e istituzionale o ha coinvolto gli italiani? E soprattutto, ci chiedevamo: ci lascia un po’ più italiani oppure no?
Alla prima domanda risponderei che non è stata né una celebrazione né una commemorazione, ma una ferita riaperta, viva e dolente, come hanno dimostrato le polemiche sulla Padania e la Malaunità a Sud. Alla seconda direi che non è stata una stucchevole cerimonia istituzionale, l’Italia ha risposto, il 17 marzo è stata tutto sommato una bella festa. L’Italia s'è desta, per poi riaddormentarsi.
E qui vengo al terzo, spinoso punto. No, dopo il giubileo italiano non ci sentiamo più italiani, ma ci sentiamo dolosamente italiani e dolorosamente europei, patiamo la nostra italianità anche se ce l’abbiamo scritta dentro.
E avvertiamo che proprio in quest’anniversario l’Italia ha rinunciato all’indipendenza, è tornata sotto la dominazione straniera, per taluni benefica per altri malefica: i tecnici, in quanto tali e in quanto emanazione di enti, potenti e poteri allogeni, sono visti come commissari stranieri, salvo rimproverarli quando ricadono nei vizi nostrani. Ma il comando è al di là dei Monti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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