Dopo 34 morti il Pd ammette che c’è la guerra

I democratici tornano alla realtà: forse hannop capito che servono nuove regole di ingaggio. Più volte in passato la sinistra era scivolata nella battaglia ideologica contro Berlusconi anche nel lutto

È l’Italia, ma sembra un altro paese. Uno dei volti più noti dell’opposizione che dice di essere disposto a discutere ed eventualmente ad appoggiare un’idea di un ministro della Repubblica è una cosa che altrove sarebbe ovvia, ma che da noi appare lunare. Benvenuta banalità, allora. E benvenuto Pd nella realtà. Perché è il Partito democratico che di fronte ai cadaveri degli ultimi soldati morti in Afghanistan ha un guizzo di lucidità che restituisce dignità alla politica. Arriva attraverso le parole e i gesti di Piero Fassino che non chiude a priori per ideologia e per spirito di contraddizione all’idea del ministro della Difesa La Russa, di armare con bombe gli aerei italiani impegnati in Afghanistan. No. Fassino apre, Fassino accoglie, Fassino ascolta, accetta la proposta di portare in parlamento la discussione. Sarà approvata o no? Adesso non importa. Oggi conta che non abbiamo assistito alle scenate alle quali siamo abituati in questi casi: il ministro propone e l’opposizione gli salta addosso come se avesse bestemmiato in diretta televisiva. Certo qualcuno lo fa. Però l’interlocutore principale del governo e della maggioranza, ovvero il Pd, stavolta si comporta da opposizione credibile, seria, serena. C’è un’idea? Il governo la propone e poi se ne parla alle Camere. Una dinamica semplice che in Italia sembra dover uscire sempre dalla testa di un Nobel.
Fassino ha dato un senso all’opposizione in una frazione di secondo. E questa, invece, non è un’ovvietà. Perché sentiamo chiunque parlare di responsabilità e maturità, ma poi assistiamo allo sciacallaggio costante e perenne. Anche sull’Afghanistan. Il Pd in passato ha più volte ceduto alla tentazione della battaglia ideologica e anti-berlusconiana sulla presenza e sulle regole di ingaggio. Accadeva, per la verità, soprattutto quando alla Casa Bianca c’era George W. Bush. Barack Obama ha contribuito a far analizzare la guerra di Kabul per quella che era: il contrattacco antiterrorista dopo la vergogna dell’11 settembre 2001. Il resto, evidentemente, il Partito democratico l’ha fatto da solo: è passato dalla chiusura totale verso l’ipotesi che i nostri soldati sparino colpi in un teatro che resta di guerra, alla nuova apertura verso l’armamento dei nostri aerei, cioè la punta massima di una potenziale strategia offensiva. Ma ora che tutti sono d’accordo che l’Italia lì, in Afghanistan, non vuole uccidere civili o rubare qualcosa che gli afghani neanche hanno, finalmente si sentono e si leggono frasi così: «Dei 34 soldati morti in Afghanistan nessuno è caduto in un’azione bellico-offensiva. Noi non siamo là per fare la guerra a nessuno». Grazie Fassino. Perché, anche in questo caso, in poco tempo ha spiegato quello che evidentemente per otto anni non era stato capito: i nostri soldati sono lì per difenderci dal terrorismo e dai suoi fiancheggiatori, ma se vengono attaccati non possono porgere l’altra guancia. Devono avere armi e mezzi per rispondere. Perché noi tutti non vogliamo che ne muoiano altri e noi tutti vogliamo che tornino tutti il prima possibile. Cioè quando avranno finito il loro compito. Sale la tensione, salgono i rischi, ci vogliono nuove regole e nuove strategie: come dire che due più due fa quattro, ma siccome spesso non era stato così, oggi siamo tutti un po’ più felici. Specie i ragazzi che ogni giorno rischiano la vita per noi, oltre che per loro.

Magari quando qualcuno gli racconterà che la politica per un giorno non li ha dimenticati in nome del proprio egoismo, penseranno di vivere in un altro Paese. Però è meglio che pensare di vivere nel proprio che continua a sbagliare.

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