Politica

Il 58 per cento degli studenti confessa di aver visto «bulli in azione» in classe

L'indagine del Circolo Mario Mieli effettuata su 862 ragazzi di cinque istituti superiori svela che nel mirino dei violenti finiscono soprattutto i compagni omosessuali, quelli grassi, stranieri e i giovani che non hanno comportamenti conformi al gruppo

Distruggono i banchi, rompono i vetri, rapinano e taglieggiano i compagni o nella migliore delle ipotesi riempiono le scuole di bigattini. Sono i nuovi bulli che fanno da padroni in molte scuole della capitale. Il fenomeno è in aumento e gli episodi di cronaca, che riempiono le pagine dei quotidiani, lo dimostrano mentre i dati della campagna «Smontiamo i bullismi, impariamo a convivere», realizzato dal Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, lo confermano. La nuova ricerca si svilupperà tra febbraio e aprile 2009. Ma sono stati resi noti in questi giorni i dati dell'edizione 2007-2008 emersi dalla somministrazione di questionari a 862 studenti (354 femmine e 488 maschi) di tutte le classi di cinque scuole superiori di Roma. L'indagine ha preso in considerazione il liceo Seneca, l'Istituto tecnico commerciale e geometri L. B. Alberti, l'istituto tecnico industriale Faraday, il liceo scientifico Salvini e l'istituto professionale Sisto V con l'obiettivo di valutare l'insistenza del fenomeno nelle scuole capitoline e indagare sulle modalità delle azioni discriminatorie e sui valori di riferimento degli adolescenti. Purtroppo il problema è sentito. Il 58 per cento degli studenti ascoltati, infatti, ritiene che nella propria scuola si verifichino episodi di bullismo. Al dato andrebbero però aggiunte situazioni delle quali i giovani sono protagonisti o testimoni che, erroneamente, non vengono valutati come violenza dagli intervistati ma ritenuti modalità normali di relazione. Gli studenti sostengono che la discriminazione in aula scatti nel 70,8 per cento dei casi contro omosessuali, nel 60,1 contro compagni i cui comportamenti non sono ritenuti conformi al genere di appartenenza, nel 60 per cento contro gli stranieri, nel 59,7 contro ragazzi in sovrappeso e nel 59,2 dei casi contro chi ha comportamenti non conformi al gruppo. Le diverse risposte possono essere raggruppate in due categorie, identità sessuale e appartenenza al gruppo e per i giovani i temi centrali sono due: «chi sono sul piano sessuale e del genere» e «io sono uguale o sono diverso?». Acquisisce quindi grande rilievo la diversità nella sua globalità: culturale, di razza, di aspetto fisico. A commettere violenze e discriminazioni, poi, sono principalmente i maschi (82,3 per cento dei casi) e in misura minore le femmine (43,3 per cento). Per gli alunni dei cinque licei presi in esame esiste inoltre un collegamento tra i bulli, la dipendenza dalle droghe (59,1 per cento) e la scarsa coesione del nucleo familiare di appartenenza (56 per cento). Lo strumento per reagire è quello di fare fronte unico per difendere la vittima: per il 28,9 per cento è utile parlare con chi ha subito l'abuso o la violenza, per il 21,7 per cento è meglio parlare con il responsabile dell'atto di discriminazione o di violenza, per il 17,6 per cento è necessario farlo sapere ai genitori, per il 14 per cento bisogna dialogare con tutti i coinvolti. Solo l'8,3 per cento consiglia di raccontare l'accaduto al dirigente scolastico. Quasi nessuno, invece, attribuisce un ruolo di arbitro agli adulti e alle istituzioni, forse perché ritenuti incapaci di intervenire. Solo il 16 per cento, però, confessa di aver subito atti di violenza e discriminazione, forse perché tale condizione viene ritenuta nell'ambiente scolastico uno stato di debolezza, mentre il 30 per cento ricorda di essere stato almeno una volta bullo. Quanto ai valori di riferimento, gli intervistati mostrano di dare importanza all'aspetto esteriore e all'apparire e ritengono che, per avere successo nelle relazioni, conti nel 44,3 per cento dei casi la bellezza, nel 37,7 l'abbigliamento fedele ai dettami della moda e appena nel 7 per cento un rendimento scolastico positivo. «Coraggio», infine, per il 67,5 per cento vuol dire «credere in ciò che si è e in ciò che si fa».

Mentre la tendenza generale delle risposte mostra quindi l'importanza di essere uguali al gruppo e in alcuni casi il terrore di essere diversi, dalla valutazione del termine «coraggio» risulta che, almeno in termini di aspirazione personale, tutti sono convinti che «crescere» stia nell'essere se stessi, liberi dai condizionamenti del gruppo.

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