"Il pasticcio Almasri colpa delle toghe"

L'ex Cpi Tarfusser contro Parodi (Anm): giudici innocenti? Non conosce le norme

"Il pasticcio Almasri colpa delle toghe"
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Su Almasri scoppia la guerra tra toghe. A giorni è attesa la decisione del Tribunale dei ministri di Roma sulla mancata consegna del criminale di guerra (scarcerato su richiesta del Pg) alla Corte penale internazionale, per cui sono indagati per favoreggiamento e peculato il premier Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio (anche per omissione d'atti d'ufficio). Da più parti si dà per certa la richiesta di archiviazione.

Intanto il presidente dell'Anm Cesare Parodi prova ad allontanare dalla magistratura il calice amaro della colpa. Ma è un autogol, come dimostra un documento allegato al fascicolo del Tribunale, rivelato da Repubblica: "È evidente come all'origine del cortocircuito Almasri si collochi la magistratura, che ha interpretato le norme in modo né letterale, né ragionevole". A scrivere questo parere, acquisito agli atti, è Cuno Tarfusser: 11 anni da giudice all'Aja, esperto di Diritto penale internazionale e profondo conoscitore della legge 237/2012 che adegua il nostro ordinamento allo Statuto di Roma istitutivo della Cpi. Tarfusser è convinto che questa interpretazione dei giudici renderà impossibile in Italia "l'esecuzione di un mandato di arresto della Cpi. Né oggi, né mai".

Sul banco degli imputati magistrati con e senza la toga: da un lato della barricata Mantovano, Nordio, il suo capo di gabinetto Giusi Bartolozzi e l'ex capo del Dag Luigi Birritteri, che in una mail alle 14.35 di domenica 19 gennaio chiama fuori dalla contesa Via Arenula, dando ragione al Guardasigilli che dice di essere stato informato solo il giorno dopo.

Dall'altro il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi (che secondo Tarfusser si sarebbe "disfatto frettolosamente" della vicenda), i giudici del Tribunale dei ministri e appunto Corte d'appello e Pg di Roma. Colpevole quest'ultimo, secondo il magistrato altoatesino, non solo di non aver respinto l'istanza di scarcerazione presentata dal legale di Almasri, ma di non aver chiesto (come per legge avrebbe dovuto) l'applicazione della custodia cautelare, definendo "incredibilmente la irritualità dell'arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia". Colpevole anche la Corte che ha reiterato lo strano concetto dell'arresto irrituale da parte della Digos di Torino. Il tutto condito da una tempistica che appare sospetta, tanto che Tarfusser ipotizza "una sinergia tra giustizia requirente e giustizia giudicante - a sostegno della necessità della separazione delle carriere - ma anche tra potere politico e potere giudiziario".

Contattato dal Giornale nel suo buen retiro in montagna l'ex sostituto Pg di Milano sottolinea come "con Almasri in cella, il governo non aveva la possibilità di procedere al suo scandaloso rimpatrio" poi affonda il colpo contro Parodi: "Il presidente dell'Anm si è lanciato in una difesa corporativa senza conoscere né gli atti né il merito della vicenda e nemmeno le norme - afferma Tarfusser - facendo ricadere inesistenti colpe sull'arresto irrituale, un neologismo giuridico da cui emerge tutta la debolezza argomentativa. Un bel tacer non fu mai scritto...", è il suo epitaffio sul leader Anm.

È pacifico che in questo pasticcio c'è qualcuno che vuol far saltare la riforma della giustizia.

"Non è vero, accusa falsa e offensiva", tuonava ieri indignato il segretario generale Anm Rocco Gustavo Maruotti, esponente di Md, la corrente più ideologica. A svelare il bluff è invece il senatore Pd Francesco Boccia, ennesimo avvocato d'ufficio delle toghe: "Come può un ministro che ha mentito smontare la giustizia?".

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