Dazi, un danno da oltre 35 miliardi al made in Italy

Farmaceutica, automotive, moda e agroalimentare i settori più colpiti. Per vino e formaggi è un embargo

Dazi, un danno da oltre 35 miliardi al made in Italy
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L'annuncio dell'amministrazione Trump di imporre dazi doganali del 30% sui prodotti europei rischia di colpire duramente l'economia italiana, in particolare l'export verso gli Stati Uniti, secondo mercato di sbocco per il Made in Italy. Una misura che, secondo una stima prudenziale dell'Ufficio studi della Cgia, potrebbe tradursi in un impatto economico pari a circa 35 miliardi di euro l'anno per l'Italia. Se già dazi del 10% sono costati 3,5 miliardi e quelli al 20% potrebbero generare un danno fino a 12 miliardi, l'ulteriore salto al 30% comporterebbe un effetto esponenziale: i costi doganali più alti potrebbero infatti innescare effetti indiretti sulle filiere e spingere molte imprese statunitensi a rivedere drasticamente i rapporti commerciali. L'impatto non sarebbe quindi solo aritmetico, ma amplificato dal contesto geopolitico, dalla pressione sui margini e dalla sostituibilità dei prodotti.

I settori più colpiti? In testa ci sono farmaceutica, automotive, macchinari, raffinazione del petrolio, moda, occhialeria, mobili e naturalmente l'agroalimentare. "Il 30% di dazio sul vino, se venisse confermato, sarebbe quasi un embargo per l'80% del vino italiano", ha dichiarato Lamberto Frescobaldi, presidente Unione italiana vini, sottolineando l'impossibilità di ricollocare in tempi brevi i volumi esportati verso gli Usa.

Secondo Coldiretti, le nuove tariffe potrebbero costare oltre 2,3 miliardi di euro alle famiglie americane e all'agroalimentare italiano, tra rincari al consumo e caduta della domanda. I prodotti simbolo del Made in Italy subirebbero un drastico incremento delle tariffe: 45% per i formaggi, 35% per i vini, 42% per il pomodoro trasformato, 36% per la pasta farcita e 42% per marmellate e confetture. Per il Grana Padano, il dazio potrebbe arrivare a 10 dollari/chilogrammo, con prezzi finali negli Usa superiori ai 50 dollari/chilogrammo.

A soffrire maggiormente saranno le 44mila imprese italiane che esportano negli Usa, in particolare le piccole e microimprese. Confartigianato stima che 17,87 miliardi di euro di export siano generati proprio da queste realtà, ora minacciate in comparti come moda, alimentare, occhialeria, gioielleria, metallo e mobili. "L'annuncio dei nuovi dazi arriva in un contesto già fragile osserva Confartigianato con il comparto manifatturiero non farmaceutico in flessione del 2,6% nel primo quadrimestre 2025". I territori più esposti sono quelli con minore diversificazione produttiva. In cima alla lista figurano Sardegna (95,6%), Molise (86,9%) e Sicilia (85%), regioni fortemente dipendenti da pochi comparti, come la raffinazione del petrolio o l'automotive. Le aree meno vulnerabili risultano Lombardia (43%), Veneto (46,8%) e Puglia (49,8%), grazie a una maggiore varietà di beni esportati.

A livello provinciale, il cuore dell'export italiano negli Usa batte tra Milano (6,35 miliardi), Firenze (6,17), Modena (3,1), Bologna (2,6) e Torino (2,5): insieme generano quasi un terzo del valore complessivo delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Particolarmente vulnerabili, secondo Confartigianato, anche province come Firenze (moda all'83,7%), Vicenza (gioielleria 46,9%), Belluno (occhialeria quasi totale) e Arezzo (gioielleria all'89,6%).

Sul fronte delle contromisure, le imprese italiane potrebbero reagire assorbendo parte dell'aumento dei costi riducendo i margini. Secondo la Banca d'Italia, le esportazioni italiane verso gli Usa rappresentano il 5,5% del fatturato complessivo delle aziende coinvolte, che presentano un margine operativo lordo medio del 10%: ciò consentirebbe, almeno parzialmente, di ammortizzare gli effetti dei dazi, senza riversare interamente l'aumento dei prezzi sui consumatori americani.

Resta da chiedersi se le aziende e i consumatori statunitensi saranno disposti a rinunciare al Made in Italy o se lo sostituiranno con prodotti alternativi, magari di qualità inferiore.

Il 92% dei beni italiani esportati negli Usa è di qualità medio-alta o alta, secondo Bankitalia, destinato quindi a una clientela benestante e meno sensibile al prezzo. Ma l'incognita più grande riguarda le dinamiche macroeconomiche: un'escalation protezionistica potrebbe causare svalutazioni valutarie, frenate della domanda globale e instabilità finanziaria.

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