Al via del 6 Nazioni, una legione straniera che si fa chiamare Italia

Il ct Nick Mallet annuncia la formazione dell'Italia di rugby che sabato debutta a Dublino nell'edizione 2010 del torneo contintentale. Ma leggendo la formazione si scopre che di italiano 100% in questa squadra c'è ormai molto poco

Cinque stranieri che giocano in Italia. Tre italiani che giocano all'estero. Persino tre stranieri che giocano all'estero. Fa una certa impressione leggere l'elenco dei giocatori che il commissario tecnico dell'Italia di rugby, Nick Mallet, ha scelto per la formazione che sabato prossimo a Dublino scenderà in campo contro l'Irlanda per la partita inaugurale dell'edizione 2010 del Sei Nazioni. Perchè alla fine di italiani che giocano in Italia ci saranno, nel XV di partenza, solo quattro giocatori: il capitano Leonardo Ghiraldini, tallonatore del Calvisano, il seconda linea del Viadana Carlo Del Fava, il terza linea del Treviso Alessandro Zanni e il mediano di mischia Tito Tebaldi, del Parma. Per il resto, ad ascoltare l'inno di Mameli sarà un curioso melting pot fatto di italiani giramondo e di apolidi naturalizzati o ingobati in qualche modo. La dimostrazione concreta, se mai ce ne fosse bisogno, della incapacità del campionato italiano di produrre atleti italiani di qualità internazionale.
Certo, un motivo c'è: l'esigenza di fare risultato. Dopo l'andamento catastrofico dell'edizione 2009, i vertici federali si aspettano da Mallet una svolta. Un secondo «cucchiaio di legno», simbolico e infamante trofeo assegnato a chi chiude il torneo a zero punti, metterebbe inevitabilmente in discussione la poltrona di Mallet e le intere strategie del rugby italiano nella marcia di avvicinamento ai mondiali dell'anno prossimo in Nuova Zelanda. Il primo appuntamento di questo Sei Nazioni è il più duro che ci potesse toccare: in casa dei campioni uscenti, contro l'Irlanda di Brian O'Driscoll e Ronan O'Gara. Che si possa andare a Dublino a vincere non se lo aspetta nessuno. Ma Mallet ha scelto (o gli hanno impoasto) di limitare i danni a tutti i costi. E dunque avanti con la Legione Straniera.
In campo andranno, oltre ai quattro italiani cento per cento, tre italiani che attualmente giocano all'estero: i due fratelli Bergamasco (Stade Francais) e Salvatore Perugini dell'Aviron Bayonnais, e questo potrebbe essere il male minore, anzi un segnale della capacità del rugby italiano di esportare giocatori di talento (ma anche della sua incapacità di trattenerli in patria). Poi ci sono cinque stranieri che giocano in Italia: Luke Mc Lean, estremo australiano del Treviso, l'ala neozelande Kaine Robertson (Viadana), il centro argentino Gonzalo Garcia (Treviso), il terza linea neozelandese Josh Sole (Viadana), il seconda linea sudafricano Quitin Geldenhuys (Viadana): e già qui è inevitabile domandarsi se la facoltà dei regolamenti internazionali di utilizzare giocatori provenienti da federazioni estere non sia usata con eccessiva generosità. Infine, ed è il dettaglio più clamoroso, giocheranno con la maglia azzurra anche tre stranieri che giocano all'estero: e se uno, l'argentino Martin Castrogiovanni (Leicester Tigers), si è ormai - almeno formalmente - italianizzato, il suo connazionale Gonzalo Canale (Clermont Auvergne) di italiano ha ben poco. Per non parlare di Carig Gower, mediano di apertura australiano dell'Aviron Bayonnais, del quale cosa abbia a che fare con l'azzurro e il tricolore è oggettivamente un mistero.
Insomma, questa non è un'Italia che parla italiano. E non è un modo di dire: durante uno degli ultimi incontri della Nazionale, le telecronache a bordo linea avevano rivelato che tra di loro gli azzurri comunicano in inglese, altrimenti sarebbe una torre di Babele dove nessuno capirebbe nessuno. L'elenco dei quindici azzurri scelti per Dublino è la manifestazione più esplicita di questo miscuglio, che rende impossibile parlare di una «scuola italiana», e che spiega meglio di tante analisi tecniche le difficoltà della nostra Nazionale di produrre un gioco degno di questo nome: soprattutto nelle fasi offensive, quando non bastano più il cuore e i muscoli ma servono anche idee condivise ed assimilate.
Eppure un vivaio italiano c'è, le esperienze internazionali della under 18 e della under 20 dicono che la crescita del movimento rugbistico in Italia sta producendo giovani di valore. Certo, investire su di loro vorrebbe dire andare incontro - almeno nel breve periodo - a sconfitte pesanti. Ed è proprio questo che i vertici della Federazione non si possono permettere.

Se dopo l'esclusione dei club italiani dalla Celtic League venisse messa in discussione anche la presenza italiana nel Sei Nazioni - dove avere a che fare con una squadra materasso non piace a nessuno - per il rugby italiano sarebbe un passo indietro di dieci anni. E qualche poltrona dovrebbe inevitabilmente cambiare inquilino.

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