Ilaria Cavo
Avevano salutato Chiara, l’ultima volta, ad agosto, quando erano partiti per la montagna e lei aveva deciso di restare a Garlasco per stare vicino al fidanzato che si stava per laureare. Forse è per questo che Rita e Giuseppe Poggi - i suoi genitori rimasti lontani per mesi dalla loro villetta sotto sequestro - hanno immaginato di dover semplicemente rientrare da una vacanza. Hanno fantasticato che Chiara fosse ancora lì ad aspettarli, che non fosse stata massacrata, tra queste stanze, e buttata in fondo alle scale che portano alla tavernetta.
«Ho sempre detto che desideravo rientrare nella mia casa, ma adesso che me l’hanno restituita mi rendo conto che è come essere tornati al primo giorno, a otto mesi fa. Solo adesso ho realizzato che io sono tornata e lei invece non tornerà più». Incontro Rita nel giardino, in uno dei pomeriggi in cui sta cercando di rimettere ordine nella sua casa e nei suoi pensieri. In un maglione arancione, con quel volto gentile che ha ancora un sorriso per tutti, stavolta non trattiene qualche lacrima. «In questi mesi ci eravamo abituati a non vederla, al fatto che non tornasse alla sera, ma vivevamo in un’altra casa, era diverso. La realtà invece è questa».
È a pochi passi da qui, tra le foto del salotto, un pavimento da pulire, una cameretta da rimettere a posto dopo i sopralluoghi del Ris. «Ho fatto io gli scatoloni con i ricordi di mia figlia. I suoi peluche, i suoi libri, ogni cosa tornerà dove lei l’aveva lasciata».
Rita è stata presente anche quando hanno pulito l'ingresso e la scala dalle tracce del sangue del corpo di sua figlia, trascinato per metri. «Sì, ho visto tutto. Un po’ ero presente io, un po’ mio marito, ma non è stato difficile perché ero già entrata: sapevo quello che avrei trovato». Non si lascia incattivire lo sguardo, non permette a niente e a nessuno di rubarle quella dolcezza che è la sua forza: «È stata una pulizia, solo una pulizia», commenta senza dare segni di cedimento neppure di fronte alla prospettiva di una mezza verità sulla morte della figlia: «Non mi faccia domande sulle indagini. Non ho mai risposto e non risponderò».
La sua forza sta anche nell’evitare di scivolare mai in commenti che suonino come accuse. Le chiedo se la rabbia c’è da qualche parte, nei suoi pensieri, tra queste mura appena imbiancate. «Rabbia di cosa? Rabbia non è la parola giusta», commenta Giuseppe Poggi. Stava potando la siepe, ma si interrompe e si avvicina mentre è Rita a trovare la parola giusta. «Semplicemente trovo tutto incredibile. Chiara era una brava ragazza, non ha mai frequentato cattive compagnie, non è mai rientrata in ritardo una sera». E la domenica sera, prima di essere uccisa, aveva parlato al telefono con suo padre: «Era serena, contenta - racconta Giuseppe -. Mi ha detto: papà sto a casa, mangio la pizza. Poco dopo ha parlato anche con mia sorella, anche lei l’ha trovata normale, tranquilla. Il giorno dopo, invece, ci hanno dato quella notizia lì...».
Possibile che sia successo tutto dalla sera alla mattina? Possibile che Chiara abbia scoperto chissà quale segreto in quelle poche ore? «Sono otto mesi che penso, ripenso e mi chiedo perché - il padre scrolla la testa -. Ma non ho una risposta. Non ce l’ho».
Nel frattempo, un mago che ha raccontato di presunte telefonate fatte da Chiara perché in crisi con il fidanzato. E, più di recente, una veggente-imprenditrice avrebbe visto una donna sulla scena del delitto, spinta da un movente di interesse. «Mia figlia non era il tipo da telefonare ai maghi. Queste storie mi hanno sempre lasciato un po’ perplessa», commenta la signora Poggi. Il marito la interrompe, si lascia scappare: «C’è sempre qualcuno che vuol farsi pubblicità ma noi sappiamo com’è, sappiamo come era nostra figlia».
Signor Poggi, com’è? In cuor suo sa cosa è successo? «Ma no, non lo so. Non riesco a trovare un motivo» Anche a lui chiedo come si pone di fronte alla prospettiva di un processo indiziario, con Alberto imputato a piede libero. «Aspetto. Accetterò quello che mi diranno».
Ma anche il suo sguardo è caduto su quel pavimento macchiato di sangue. «Eccole, Chiara era laggiù», si limita a indicare. Da qui, dalla porta, è impossibile vedere cosa c’è in fondo ai gradini. Occorre sporgersi. Anche Alberto Stasi deve aver sceso questa rampa per scoprire - come ha raccontato - il corpo senza vita della fidanzata. È possibile che non si sia sporcato le scarpe di sangue? «Non ho elementi. Aspetto quello che mi diranno», ripete Giuseppe guardandosi attorno: «È dura, molto dura. Per ora vado e vengo, non viviamo ancora qui. Devo provare ad aspettare la sera, l’ora in cui Chiara arrivava a casa e la nostra famiglia si riuniva, per capire davvero cosa si arriverà a provare». Rita ha già una sua risposta.
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