A.a.a. cercasi donna da amare e poi uccidere

Nel 1932 Cesare Serviatti cerca le proprie vittime con annunci sul giornale L’ultimo massacro fa parlare tutta l’Italia per il corpo ritrovato a pezzi in tre valigie Catturato, lo spezzino confessa tre delitti e viene fucilato

A.a.a. cercasi donna da amare e poi uccidere

Paolo Bertuccio

«Pensionato, 450 lire mensili, conoscerebbe signorina con mezzi, preferibilmente cameriera, scopo matrimonio».
La servetta ripiega il giornale, guarda fuori dal balcone, il balcone di una elegante casa romana dove presta servizio, e fa mentalmente i suoi conti. Non che ci sia da ragionare troppo, tutto sommato: 450 lire sono un bel reddito, di questi tempi. I requisiti ci sono, e se l’uomo che ha scritto l’annuncio non è proprio sgradevole - continua a rimuginare - forse è la volta buona che divento signora. Nel 1932 non si può essere ancora signorina a quarant’anni suonati. Così Paolina Gorietti approfitta di una pausa nei lavori di casa per rispondere a colui che spera possa diventare il suo principe azzurro. Non sa che la persona a cui sta scrivendo col cuore pieno di speranza sarà invece il suo carnefice.
A La Spezia una donna va all’ufficio postale e ritira un mazzetto di lettere che sono arrivate alla sua casella. Contengono proposte di matrimonio: niente di strano, se consideriamo che, all’inizio degli anni Trenta, è ancora costume trovar marito o moglie per corrispondenza. Il fatto singolare è che queste lettere non sono indirizzate alla nostra donna, che si chiama Angela, ma al marito. Angela lo sa, e infatti quando torna a casa si siede al tavolo insieme ad una ragazza che la aiuta in queste faccende e, insieme a lei, apre una busta dopo l’altra. Leggono attentamente, scartano, selezionano e, finalmente, rimane una sola missiva. Allora Angela chiama il marito e gliela fa leggere. Anche lui è d’accordo: va bene, è quella che fa per noi.
Il marito di Angela si chiama Cesare Serviatti e, anche se abita da tempo a La Spezia, è nato a Roma nel 1875. È un signore basso di statura, grassoccio, con due grossi baffi e sempre meno capelli. Tutt’altro che un figurino, ma è anche vero che gli anni, quasi sessanta, si fanno sentire. D’altra parte è simpatico, sicuro di sé, ispira fiducia. Ha cambiato molti mestieri, nella sua vita, ma quelli che gli sono piaciuti di più sono stati l’infermiere, al Policlinico della Capitale, e il macellaio. Ha anche gestito una pensione nella città ligure. Ora di mestiere ne ha inventato uno molto redditizio. O meglio, l’ha copiato da un francese che si chiama Henri Landru. Si tratta di pubblicare annunci matrimoniali sui quotidiani, fidanzarsi, dopo un’accurata indagine patrimoniale, con le donne che rispondono alle inserzioni, sottrarre alle poverine ogni avere e infine dileguarsi. Lo aiuta la moglie, anche lei conosciuta tramite un annuncio. Se si limitasse a questo, Serviatti sarebbe un odioso truffatore, ma nient’altro. E invece c’è di più.
A metà novembre del 1932 tutta l’Italia discute animatamente del caso della donna tagliata a pezzi. Su due treni, uno giunto a Napoli e l’altro a Roma, sono stati trovati compressi in tre valigie i resti di una donna orrendamente sezionata. Anzi, macellata, però da qualcuno che un minimo di anatomia la conosce. Un lavoro fatto lucidamente, da mani esperte. Anche Cesare Serviatti commenta ad alta voce le cronache del terribile ritrovamento e delle lunghe ed infruttuose indagini per dare un nome a quei resti. Commenta e si indigna, come tutti gli altri. Lo fa per non dare nell’occhio: nessuno deve sapere che è stato lui a circuire, derubare ed uccidere, mettendo il cadavere in quelle famigerate valigie, Paolina Gorietti, nata ad Assisi, cameriera in quel di Roma. Nessuno, nemmeno la moglie, che pure è a conoscenza della sua losca attività truffaldina e, a volte, lo aiuta. Lo aiuta, ma non sa nulla di questo vizio di ammazzare a cui Cesare, più di una volta, non ha saputo resistere.
Serviatti è tranquillo, perché le indagini stanno andando avanti da quasi un mese e la donna fatta a pezzi non ha ancora un nome. Prima si è fatta avanti una portinaia di Torino, la cui figlia era scomparsa, ma che è stata poi ritrovata viva e vegeta. Stesso copione per un medico di Empoli, la cui moglie, diceva, era fuggita a Genova a far la bella vita. A stretto giro di posta, tutti gli altri. Cinquecento donne scomparse ritrovate grazie alle indagini sul cadavere in valigia. Nel frattempo si è fatto vivo un testimone, che sul famoso treno ha visto Serviatti salire a La Spezia con due valigie e scendere a Livorno, lasciando a bordo il bagaglio. Ma Serviatti non si preoccupa. Lui sceglie donne sole, molto sole, affinché nessuno ne denunci la scomparsa. Anche Paolina Gorietti è una donna sola. Ha solo i genitori, che vivono in Umbria e coi quali comunica saltuariamente. Serviatti, comunque, la convince a non parlare con papà e mamma della loro relazione.
Ma Paolina non è così sola. Olga ha una ventina d’anni e fa la donna di servizio a Roma. È molto amica di Paolina Gorietti perché le due donne sono conterranee: Olga, infatti, è perugina. Si confidano tutto, e naturalmente la più anziana, ma ingenua, Paolina racconta per filo e segno alla giovane e smaliziata Olga di quello spezzino così buono e simpatico, che dice di essere un maresciallo in pensione e che la porterà all’altare, facendola felice. Olga sente puzza d’inganno, e quando Paolina va a salutarla perché, racconta, va a vivere in Liguria con il suo amato, la mette in guardia: «Attenta, potrebbe venir fuori che il tuo cavaliere è gia sposato». Con la testa ormai proiettata verso una nuova vita, Paolina non dà peso alle parole di Olga e parte, portando con sé dodicimila lire in contanti, quasi tutti i propri averi.
Quando, finalmente, grazie alla segnalazione della giovane domestica di Perugia, si accerta che la donna fatta a pezzi è proprio Paolina Gorietti, di anni quaranta, è il 12 dicembre. Dopo quasi un mese di buio, le indagini arrivano alla svolta decisiva. Cesare Serviatti viene catturato in casa il giorno dopo, mentre cena con la moglie. Dopo poche ore confessa di avere ucciso la Gorietti con un calcio, per legittima difesa, dopo che la donna aveva tentato di uccidere lui con un rasoio. Una versione per nulla convincente: il referto medico parla chiaramente di morte per strangolamento. Nel frattempo, gli inquirenti mettono in relazione a questo delitto un altro omicidio, consumatosi a Roma due anni prima. La vittima, Bice Margarucci, prima di essere ritrovata morta nel Tevere, aveva risposto ad un misterioso annuncio matrimoniale. Serviatti confessa questo ed un altro assassinio, quello di Pasqua Bartolini Faraboschi, una vedova strangolata nel 1928 proprio nella pensione gestita dall’emulo di Landru. Nel descrivere le modalità con cui ha ucciso, però, il killer è evasivo: tenta la carta dell’infermità mentale, dichiarando di avere ucciso nel sonno, spinto da una forza misteriosa. Di vero, in queste affermazioni, c’è solo il luogo del delitto: il letto. Serviatti uccide le proprie vittime mentre ha un rapporto sessuale con loro. Le strangola, e prova piacere nel farlo. Commette anche atti di necrofilia e gli piace dormire e mangiare accanto al cadavere.

Un movente morboso, oltre a quello d’interesse.
Viene processato per direttissima a La Spezia e giudicato capace di intendere e di volere. La condanna a morte è eseguita da un plotone di esecuzione al poligono di Sarzana. È il 13 ottobre 1933.

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