
Garanzie di sicurezza, scambio di territori, sanzioni e altro ancora sono i temi sul tavolo del negoziato per una "pace" possibile in Ucraina.
LE GARANZIE DI SICUREZZA
Il nodo della garanzie di sicurezza per evitare un altro attacco russo è prioritario. La soluzione possibile, messa sul tavolo fin da marzo dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è il modello dell'articolo 5 del Trattato della Nato, che prevede la difesa collettiva. In pratica, pur non entrando a far parte della Nato, l'Ucraina verrebbe difesa dai Paesi occidentali in caso di aggressione. Un'idea accettata dal nuovo Zar, Vladimir Putin e appoggiata dal presidente americano Donald Trump. Le variazioni sul tema non mancano: gli europei duri e puri, come inglesi e francesi, sono pronti a inviare truppe sul campo, almeno sotto forma di consiglieri militari e istruttori. Il Cremlino non vuole vedere soldati Nato, soprattutto europei, in Ucraina e ha proposto di coinvolgere i cinesi per garantire un'eventuale zona cuscinetto. Alcune indiscrezioni fanno pensare a una presenza americana e di altri paesi, come l'India, il Brasile e il Sudafrica, ma non si capisce con quale ruolo e numeri. L'esercito ucraino e il nodo nella neutralità sono direttamente legati alle garanzie di sicurezza. I russi lo vogliono quasi smilitarizzato, senza armi che possano colpire il territorio della Federazione. Gli ucraini non solo chiedono di rafforzare le forze armate, grazie all'Occidente, ma pure un ombrello anti missili e droni. L'adesione diretta alla Nato è esclusa, ma non quella all'Ue, che garantirebbe aiuti economici anche per il settore Difesa e non violerebbe un'apparente neutralità secondo il format austriaco.
SCAMBI DI TERRITORI
L'amputazione territoriale è l'aspetto più doloroso da affrontare per gli ucraini dopo il sangue versato in quasi 12 anni di guerra. Per questo il presidente Volodymyr Zelensky continua a puntare al congelamento del conflitto sull'attuale linea del fronte, la soluzione "coreana". Trump è convinto che Putin abbia fatto un passo indietro e appoggia la proposta "finlandese" avanzata in Alaska: l'Ucraina cede il 25% del Donbass ancora non conquistato e i russi si fermano sulle linee attuali nelle altre due regione di Kherson e Zaporizhzhia. In cambio Mosca restituirebbe i territori conquistati nella zona di Sumy e Kharkiv. I conti non tornano con 6.600 kmq, soprattutto della regione di Donetsk rispetto ai 440 occupati a Est e Nord dai russi. Non è escluso un controllo internazionale, con protezione Usa, della centrale nucleare di Zaporizhzhia, in mano ai russi, che rifornisce il paese di energia elettrica. Putin, però, pretende anche il riconoscimento dell'annessione della Crimea. Gli Usa sarebbero pronti, non l'Ucraina né gran parte dell'Ue.
SANZIONI
L'Europa sta preparando il 19° pacchetto di sanzioni e la Casa Bianca ha minacciato di imporle in maniera secondaria a paesi come India e Cina che comprano il petrolio e il gas russi, vena giugulare per l'economia e continuare la guerra. Putin chiede che le principali sanzioni (in tutto sono 2600) vengano cancellate e reclama la restituzione dei 300 miliardi di dollari di fondi e beni russi congelati soprattutto in Europa. Kiev e Bruxelles stavano studiando di usarli per finanziare lo sforzo bellico. Trump sarebbe deciso a eliminare le sanzioni riprendendo a pieno ritmo il commercio con Mosca.
I NODI MINORI E LE "RADICI PROFONDE"
Il nuovo Zar pretende che il russo sia di nuovo riconosciuta come lingua ufficiale, ma in realtà gli ucraini sono liberi di utilizzarla e il diritto è riconosciuto dalla Costituzione. Il Cremlino chiede anche "protezione" per la chiesa ortodossa spesso accusata, a torto o a ragione, dall'Sbu, i servizi ucraini, di essere centri di propaganda se non di spionaggio. Nodi secondari e risolvibili, ma il vero spettro che aleggia su una "pace" possibile è il continuo riferimento da parte russa alle "radici profonde" del conflitto.
La "denazificazione" suona molto come propaganda, ma l'obiettivo finale di far cadere Zelesnky è più insidioso. Basta attendere le elezioni, previste se e quando taceranno le armi, e vedere chi vince alle presidenziali. Si chiama democrazia e anche il nuovo Zar dovrà farsene una ragione.