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«Abbiamo perso tutto ma almeno siamo vivi»

A New Orleans molti hanno preferito non lasciare le proprie abitazioni rischiando la vita. Storie di dolore e di coraggio in una città devastata dall’inondazione

Marta Ottaviani

«Abbiamo perso tutto: casa, macchina, mobili. Tutto». Scott Radish e sua moglie Kyle abitavano in Mound Street, nel quartiere di Brandon Gioe. Della loro casa non è rimasto più niente. «Siamo vivi per miracolo - racconta Scott -. Abbiamo visto la violenza di Katrina in faccia. È stato tremendo. Un po’ come quando vedi delle catastrofi in televisione e pensi che quell’orrore non potrà mai capitare a te. L’uragano era terrificante. I rami degli alberi venivano staccati e spazzati via come niente. Poi mi sono voltato e ho visto la mia jeep completamente sommersa dall’acqua».
Neil Gruber fa parte delle persone che hanno sfidato Katrina, rimanendo in città. Per lui, la cosa più importante è essersi salvato. «Ringrazio Dio - ha detto Neil -. La nostra città è stata messa in ginocchio, abbiamo perso molto, ma abbiamo ancora le nostre vite. E per me questo è abbastanza. Vivo a New Orleans da oltre 30 anni, ma non avevo mai visto una simile devastazione».
Joshua Bruce, 19 anni, risiede in Pontalba Street e stava preparando lo zaino per scappare, quando ha sentito le urla di una donna provenire dalla strada. «Il canale Boulevard era uscito dagli argini - racconta Joshua - e la donna non smetteva di urlare. L’acqua le arrivava alle ginocchia, ma non riusciva a muoversi a causa del forte vento. Aveva una gran paura di essere trascinata via. Le ho teso un ramo e sono riuscito a salvarla. Siamo stati fortunati. C’è stato un momento in cui l’acqua mi arrivava sulla faccia con tale violenza che non riuscivo a vedere niente».
Storie di paura e di dolore. Ma anche di grande coraggio. Come quella di Jerry Rayes, 52 anni, che ha navigato tutto il tempo sulla sua barca per le strade della città, diventate ormai canali, per cercare di portate in salvo il maggior numero di persone possibile. Se Joan Hanson è ancora viva, lo deve proprio la lui. «È successo tutto molto in fretta - racconta Joan -. Erano le otto del mattino e stavo parlando al telefono con mia madre, che mi aveva chiamato allarmata. Io cercavo di traquillizzarla, dicendo che andava tutto bene. Improvvisamente la porta si è spalancata e l’acqua ha letteralmente invaso la stanza. Sgorgava da ogni punto, in poco tempo mi è arrivata fino al collo. Ero terrorizzata. Sono uscita dalla finestra e mi sono aggrappata al tetto. Dopo pochi minuti è passato Rayes e mi ha caricata sulla sua barca. La cosa più difficile in quei momenti è mantenere la calma e combattere contro la violenza dell’acqua. Cercavo di uscire dalla mia casa, ma la corrente mi ricacciava dentro».
«È stato terribile - racconta Jerry Rayes -. La cosa peggiore che abbia mai visto nella mia vita. Mentre passavo con la mia barca ho visto decine di persone imprigionate nelle loro case. Non mi voglio immaginare che cosa ne sarà stato di loro. Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa del genere».
E fra le persone soccorse, c’è anche chi ha paura di aver perso i propri cari. Seduta su un letto, in un corridoio della Guardia Nazionale, Isabella Vinnett continua a chiedere notizie del marito, Timothy Jones. «La corrente l’ha trascinato via. Io ricordo solo che mi hanno caricato su una barca. Mi sono svegliata che ero già qui». Timothy è stato recuperato qualche ora più tardi, aggrappato al portico della chiesa di St. Paul. Una storia, almeno questa, con un lieto fine.
La furia dell’uragano, infatti, potrebbe aver spezzato l’esistenza anche di due turisti del Minnesota. Tina e Bryan Steven alloggiavano in un albergo nel quartiere francese. Mentre Katrina devastava strade e palazzi, hanno inviato un messaggio al sito internet del Times Picayune, il quotidiano principale di New Orleans. «Stiamo decidendo se è meglio restare in albergo o uscire e cercare di metterci in salvo in qualche modo». E poi Tina ha aggiunto: «Sono vestita con una maglietta di Bourbon Street. Non voglio morire con questa maglietta addosso».

Di loro non si sa ancora nulla.

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