Chieste condanne fino a 2 mesi di reclusione per due medici dell'ospedale San Paolo coinvolti  con l'accusa di aborto colposo nel processo sull'interruzione di gravidanza eseguita per errore  su un feto sano e non sul gemellino affetto dalla sindrome di Down come volevano i genitori. Il  pubblico ministero Marco Ghezzi ha chiesto invece 100euro di multa per il direttore sanitario,  accusato invece di omessa denuncia. Il magistrato ha spiegato al giudice Anna Conforti della  nona sezione penale di aver chiesto il minimo della pena, con la concessione di tutti i benefici  di legge agli imputati, perché «la pena qui non è importante, ma conta il principio dal momento  che qui tutte le persone coinvolte hanno messo la testa come uno struzzo sotto la sabbia  attraverso un'autoassoluzione collettiva inaccettabile». L'aborto è stato eseguito al San Paolo  il 5 giugno 2007. Sentito durante l'istruttoria, il padre dei due gemellini ha spiegato i passi  che con la moglie lo avevano portato a decidere di abortire il feto malato. «Avevamo già una  figlia di 10 anni - ha detto il 7 ottobre 2008 -. Io non pensavo di avere altri figli, ma mia  moglie voleva, voleva, voleva. È successo due anni fa, nel 2006. Dopo tre mesi ha abuto un  aborto spontaneo. Poi, passati altri tre mesi, è rimasta ancora incinta di due gemellini. Data  l'età di mia moglie abbiamo deciso di andare dal suo medico, che ha trovato un'anomalia. Così ci  è stato consigliato di rivolgerci all'ospedale San Paolo». Poi la decisione di abortire il  gemellino malato e l'errore attribuito ai due medici imputati, due ginecologhe, una che ha fatto  le ecografie e l'altra che ha eseguito l'intervento.
Oggi, nel corso della requisitoria, il pm ha definito l'accaduto un «fatto increscioso» e ha  parlato del «grande dolore di questa mamma» che avrebbe potuto essere evitato. I medici  «avrebbero potuto fare il test rapido - ha detto Ghezzi sulla base della consulenza tecnica  fatta svolgere sull'accaduto -. C'era un'assoluta uguaglianza dei feti, cosa che non succede  mai, un caso unico, che può verificarsi una volta ogni dieci anni. Proprio per questo serviva un  supplemento di attenzione e prudenza da parte dei medici che non c'è stato». Di più, la paziente  «non è stata informata del rischio che correva, ossia non le è stato chiesto se voleva correre  il rischio o fare un nuovo prelievo di liquido amniotico per fare il test rapido» ed essere  sicuri del feto selezionato per l'aborto. Passando poi a definire il comportamento dei singoli  imputati, Ghezzi ha sostenuto che la ginecologa che ha eseguito l'intervento ha fatto  «dimostrazione di imprudenza e il fatto che non ha avuto alcun dubbio è l'essenza del reato  contestato». Quanto all'ecografista, invece, il pm ha detto che «avrebbe dovuto porre i suoi  dubbi, o dissociarsi o chiedere un esame ulteriore» alla collega. Per quanto riguarda infine la  posizione del direttore sanitario, che non ha denunciato l'accaduto alla Procura, il pm ha  definito «non accettabile quello che è successo, ovvero che i panni sporchi siano stati lavati  in famiglia, trincerandosi dietro il caso fortuito: la segnalazione era doverosa, necessaria e  imposta dalla legge perché nel momento in cui c'è un collettivo e troppo comodo "scaricabarile"  non si riesce più a capire cos'è successo, mentre in un ente pubblico quale è un ospedale  bisogna fare la segnalazione».
Aborto del feto sano, il pm chiede la condanna dei medici del San Paolo
Il magistrato: «In questo caso tutte le persone coinvolte hanno messo la tesa sotto la sabbia come gli struzzi, attraverso un'autoassoluzione collettiva inaccettabile»
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