Accoltella il rivale in amore a due passi dal Gaslini

Il calcio è un business. Anche quando si gioca in porto. Il porto di Livorno. Che è l’approdo marittimo della città più comunista d’Italia, o meglio: l’unica città rimasta comunista in Italia. Ebbene lì, sulle banchine che ormai fanno concorrenza a quelle, nobili decadute, di Genova, ha messo gli occhi da tempo, dal marzo del 1999, un certo Aldo Spinelli, u sciu Aldu, oriundo genovese e imprenditore insigne con fama di non sbagliare un colpo, soprattutto quando si tratta di rimpinguare il portafoglio con «investimenti» che altri hanno snobbato. Ogni riferimento alla collina degli Erzelli, all’acquisto dell’impresa Biasotti, e perfino all’impegno politico nella lista Repubblicani-Socialisti, è puramente giustificato. Dunque, Spinelli, scarpe Tod’s e cervello fino, giusto dieci anni fa si era seduto sulla poltrona di presidente del Livorno Calcio. E c’è da scommettere che fin da allora fosse ben consapevole del binomio pallone di cuoio-affari strepitosi, già collaudato con alterne fortune al vertice del Grifone (guarda caso, sempre a due passi da un porto).

L’idea spinelliana di genuino stampo filantropico era quella di riportare gli amaranto ai fasti della Serie A, e lui c’è riuscito benissimo, chapeau! L’idea, invece, di genuino (e legittimo) stampo economico era quella di diventare se non primo in classifica, almeno protagonista sui moli livornesi, come terminalista in Darsena Toscana. (...)

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