Gli accordi di Pete e i disaccordi di Townshend

Il chitarrista, che fondò il gruppo nel 1964, è sempre rimasto in bilico tra gloria, opere colte e stravizi, fino alla denuncia per pedofilia

Paolo Giordano

da Milano

Con quel nasone, imperioso sulla faccia sottile come una siringa, a Pete Townshend sul palco è sempre bastato spalancare appena la bocca per diventare una caricatura, qualcosa a metà tra la Testa reversibile disegnata dall’Arcimboldi e la Bocca della verità di Santa Maria a Roma. Poi però gli basta impugnare la sua Gibson Les Paul per tirar fuori gli accordi che sono arrivati fin qui, quelli di I can’t explain o The kids are alright, così tirati, così vibranti da lasciare un segno nella storia del rock. Anche adesso, che ha compiuto sessant’anni belli vissuti, a Pete Townshend servono pochi secondi di Fragments del nuovo ciddì Endless wire per dire eccomi di nuovo qui, mica sono cambiato.
Quand’era appena uscito dall’Ealing Art College di Londra, magrissimo e vestito con la giacchetta blu come un inglese di buona borghesia, era il contraltare dei rocker belli e maledetti, del tutto privo di fascino e di quella talentuosa protervia che fanno di un qualsiasi musicista una autentica star. E così con i suoi Who è scivolato sulle montagne russe del successo, su le vendite giù i vizi, su la gloria giù l’equilibrio mentale, accompagnando da lontano l’altro Who Keith Moon sulla strada della dissoluzione, della follia, della disperata ricerca di trovare ossigeno nell’anidride della vita on the road, un concerto dopo l’altro, una festa dentro l’altra. Per gli inglesi Pete Townshend è una celebrità, uno di quelli da intervistare quando si ha bisogno di un parere o da invitare per alzare il tono dell’evento anche adesso che, dopotutto, gli Who non fanno dischi da un quarto di secolo e tra i grandi vecchi vanno molto più forte i Rolling stones o i Pink Floyd. Ma quando l’anno scorso al Live 8 di Hyde Park sul palco tra i faggi è salito lui, la gente si è zittita. Troppo precisi quei suoni, troppo memorabili quei riff per lasciarli affogare in un semplice boato. In quell’istante si è anche cancellata l’ultima storiaccia, la pedofilia, che all’inizio del 2003 aveva macchiato la sua già fangosa reputazione. Lui, sposato e padre di due bambini, era stato intercettato su alcuni siti di pedopornografia. «Non sono un pedofilo, volevo solo vedere che cosa c’era lì» disse senza essere troppo creduto. Poi, un anno dopo, aggiunse: «Volevo suicidarmi, ma così avrei confermato la tesi della mia colpevolezza».

L’inchiesta è finita lì e ormai se ne parla solo di sfuggita, come dell’ennesima palata di fango regalata alla celebrità di turno. Comunque sia, è stato un altro disaccordo di mister Townshend, l’uomo che nei panni di Pete si è inventato gli accordi che fanno correre ancora il rock come un ragazzino che ha smesso di crescere.

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