Caro Paolo Granzotto, da quanto vengo a leggere, Bernardo Caprotti, il proprietario della Esselunga, può entrare di diritto nella categoria degli eroi civili per aver a viso aperto denunciato le soperchierie e i privilegi inauditi dei quali godono le Coop, bastione della finanza rossa («Facci sognare!», «Allora abbiamo una banca!»), campione dell'impostura rossa («La Coop siete voi») e della ciarlataneria rossa (la linea di abbigliamento «solidal Coop»). È d'accordo?
Bernardo Caprotti è un grande, caro Gatti. E non solo come imprenditore (sono uno che fa e che ama fare la spesa, ovvero scegliere con cura ciò che poi metterò sotto i denti. Sulla freschezza e qualità del pesce, della carne, delle verdure e della frutta, sulla varietà di prodotti fra i quali scegliere, la Esselunga non ha rivali. Al confronto, tutto ciò che compare sui banconi delle Coop ha l'aspetto e il gusto di cose dozzinali. Per non parlare di quando ti prendono per i fondelli con quelle bischerate della «linea solidal» o delle «banane solidal»). E che sia un grande lo testimonia la reazione di quel pachiderma presuntuoso alle circostanziatissime accuse riunite nel libro Falce e carrello. Non potendole contestare, non potendosi difendere ribattendo con cifre, dati e fatti concreti, per salvare una insalvabile faccia il pachiderma cosa fa? Pipì. Fa la pipì. È quanto risulta dall'unico organo di informazione che si è preso la briga di difenderle, le Coop: L'Unità (e quale altro, sennò?).
«Esselunga, prezzi corti e niente diritti» titolava il quotidiano che prima di essere di Furio Colombo fu, c'è da non crederci, di Antonio Gramsci. Sui «prezzi corti», ovvio, non si discute. Che pur distribuendo alimenti di qualità superiore la Esselunga abbia prezzi inferiori a quelli delle Coop, lo ammettono le Coop medesime. Ma «niente diritti» è un'accusa pesante in tempi come questi dove i diritti stanno in cima ai pensieri della società civile (a scapito dei doveri, chiaro). E qui entra in ballo la pipì. Scrive Giampiero Rossi: alla Esselunga «chi non riga dritto deve essere colpito in tutti i modi, anche quando la pipì diventa un'impellenza». Ciò significa, spiega Rossi, che non è affatto scontato che un dipendente «possa soddisfare quell'inevitabile bisogno». Attenendosi ad un «codice da caserma» prima deve avvertire il superiore, perché non si può abbandonare - per esempio - una cassa di punto in bianco, con i clienti in coda. Certo che no. Ebbene, prosegue Rossi, in taluni casi il permesso tarda a venire e non, mettiamo, a causa dell'assenza di altri tre addetti alle casse momentaneamente al gabinetto. No. Tarda a venire per un sopruso padronale nei confronti del richiedente che «abbia commesso l'errore di iscriversi al sindacato o abbia partecipato ad una assemblea». Quei tipi lì la pipì se la devono tenere cinque minuti in più, fastidio, si precisa, «al limite dei diritti umani». Ecco, caro Gatti.
Paolo Granzotto
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