Rischia la pena di morte, Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency, che su richiesta del governo italiano ha salvato la pelle all’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, realizzando un controverso scambio con cinque prigionieri talebani. Ieri il Corriere della Sera ha rivelato che l’accusa sarebbe di concorso in omicidio per avere abbandonato al suo destino Adjmal Nashkbandi, l’interprete afghano del giornalista italiano, che doveva venire liberato e invece è stato decapitato. L’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada è insorta accusando il governo Prodi di avere tenuto sul caso «un comportamento inconcepibile e di sostanziale disinteresse».
In serata il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha prontamente alzato la voce con il governo di Kabul sostenendo che se Hanefi fosse condannato a morte, ciò «renderebbe sicuramente assai difficile la cooperazione in materia di giustizia tra Italia e Afghanistan». Il nostro è il Paese guida della comunità internazionale per la riforma del sistema giudiziario afghano.
Quando la grande stampa neppure ipotizzava un ruolo discutibile di Hanefi, Il Giornale era stato il primo a riportare le accuse di collusione con i talebani dei servizi segreti afghani. Amrullah Saleh, il capo dell’Nds, l’intelligence di Kabul, punta il dito contro un colloquio di quindici minuti fra il mediatore di Emergency e i capi talebani sul greto del fiume Helmand, dove è avvenuto lo scambio. I servizi sono convinti che è stato il conciliabolo a far partire Mastrogiacomo verso la libertà, su una colonna di fuoristrada e a condannare il suo interprete a rimanere nelle mani dei tagliagole. Al momento, però, le autorità afghane non hanno fornito alcuna prova la cui concretezza svelerebbe se Hanefi è solo un capro espiatorio, oppure una quinta colonna dei talebani. Fonti del Giornale sostengono che le prove a carico di Hanefi sono un po’ deboli e non è certo che reggerebbero in un’aula di tribunale. Il caso riguarda la sicurezza nazionale e quindi nella prima fase degli interrogatori, che vengono videoregistrati come prova documentale, non è prevista la presenza di un avvocato. In serata dal Lussemburgo, il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, ha confermato: «Per noi è difficile credere ad accuse che tuttora non sono state formalizzate, ma è escluso che posso esserci un procedimento senza assistenza legale». Ovvero un processo vero e proprio senza avvocato. Il problema è che solitamente i processi per reati così gravi sono sbrigativi e si concludono con la pena di morte. «È una vicenda che per noi presenta molti lati oscuri - ha detto D'Alema -. Per la pena di morte è evidente che l'ipotesi non può essere neppure presa in considerazione e renderebbe sicuramente assai difficile la cooperazione in materia di giustizia fra noi e l'Afghanistan».
I servizi afghani non intendevano bloccare le trattative per la liberazione di Mastrogiacomo e il suo interprete, dopo che l’autista del giornalista di Repubblica, Sayed Agha, era stato sgozzato. Saleh ha confermato al Giornale che l’obiettivo era uno «scambio controllato», ovvero la scelta del momento e del luogo dove consegnare i cinque prigionieri talebani. La mancata consegna di Adjmal avrebbe provocato un’azione di forza o fatto saltare tutto. Invece Emergency ha imposto, tramite il governo italiano, di tenere fuori sia i nostri servizi sia quelli afghani. L’accusa di concorso in omicidio scaturirebbe dal fatto che Hanefi «era complice dei talebani».
«È inconcepibile, di fronte a questo ulteriore elemento di valutazione, che il governo italiano prosegua nel suo sostanziale disinteresse, in considerazione anche del fatto che tutto questo sia relativo a una persona che è accusata per ciò che ha compiuto in attuazione di richieste della presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri», si legge in un duro comunicato di Emergency reso noto ieri dopo la pubblicazione della notizia sul Corriere. Inoltre Carlo Garbagnati, vicepresidente dell’organizzazione umanitaria, lamenta che la richiesta di Emergency al governo, di convocare l'ambasciatore afghano in Italia per chiedere spiegazioni, è rimasta del tutto inascoltata.
L’esecutivo di Prodi intanto è sotto tiro da parte di diversi esponenti della sua maggioranza.
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