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Ad Abu Mazen 50 milioni e la patente di «buono»

«Solo la pace potrà condurre il popolo palestinese all’indipendenza»

Ad Abu Mazen 50 milioni e la patente di «buono»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

È la prima volta che un leader palestinese torna a casa da Washington con qualcosa di diverso da un monito americano e con qualcosa di più di un incoraggiamento. Abu Mazen nella sua prima visita in Usa dopo la sua elezione ha colto un «successo» più concreto e quantificabile: 50 milioni di dollari. Non ancora un assegno ma una promessa ufficiale, per di più non legata a condizioni specifiche bensì come gesto di incoraggiamento. Più la cornice: una conferenza stampa congiunta nel giardino della Casa Bianca, dopo un colloquio nella Sala Ovale, che entrambe le parti hanno definito «molto cordiale». E un attestato da parte del presidente americano, che colloca chiaramente Abu Mazen (anche se non necessariamente tutta la Palestina) dalla parte dei «buoni». Anzi, come un caso «esemplare» della «capacità di attrazione» della democrazia anche nel Medio Oriente. «Solo la pace - ha ripetuto Bush - potrà condurre il popolo palestinese all’indipendenza, e solo una decisa azione contro il terrorismo potrà portare alla pace».
Il primo leader democraticamente eletto nella Cisgiordania e a Gaza ha dimostrato di avere serie intenzioni in proposito al punto che, se riuscirà (e gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per aiutarlo a vincere questa scommessa) la Palestina potrà diventare addirittura un esempio per i Paesi vicini: una trasformazione radicale rispetto alla situazione che si trascina da più di mezzo secolo e che ha relegato quella terra a un ruolo di «frontiera», di zona di guerra più o meno permanente. Una volta tanto, insomma, non saranno le sorti del popolo palestinese a dipendere principalmente da eventi politici, militari o diplomatici in altri Paesi, come è accaduto finora, per esempio con la riconciliazione tra Israele e l’Egitto o con l’abbattimento da parte americana del regime di Saddam Hussein in Irak; i palestinesi potranno diventare una forza traente, contribuendo a determinare i destini di altre nazioni dell’area. Perché ciò accada dovranno verificarsi una serie di circostanze favorevoli e di combinazioni fra eventi, ma Bush ha ripetuto all’ospite che dovrà concentrarsi nel reprimere il terrorismo, sia nelle sue dirette espressioni di violenza, sia tagliandogli le radici nella società e le complicità di varia forma e livello. Il presidente americano non ha nominato Hamas, ma il solo fatto di aver ricevuto Abu Mazen e di aver dato alla sua visita un formato e una pubblicità senza precedenti, indica che Washington scende decisamente in campo contro gli integralisti e dunque a favore di un’organizzazione come l’Olp, che Washington ha sempre considerato nemica.
Una «svolta» che probabilmente è parte della revisione strategica in corso nei confronti del Medio Oriente, nel senso di un maggiore coinvolgimento ma anche di una maggiore autonomia a forze politiche di antico radicamento in varie aree nevralgiche di quell’area del mondo: una strategia sperimentata con particolare vigore e pubblicità in Irak. Libere elezioni sono da tempo ormai nel pensiero di questa Casa Bianca, non il punto di arrivo nell’evoluzione democratica, ma anzi un punto di partenza. Concezione nuova rispetto alle dottrine tradizionali dell’America. E i risultati ottenuti in Palestina sono diventati una specie di «fiore all’occhiello» per Bush, con un risultato assai meno «pilotato» rispetto all’Irak ma che potrebbe essere più genuino e più efficace come buon esempio.
Bush punta molto dunque su Abu Mazen, assai più dei 50 milioni di dollari, che potrebbero essere soltanto il primo di diversi «anticipi». Ma dal colloquio è emersa anche, anche se non nelle dichiarazioni ufficiali, una promessa americana di protezione al processo democratico interno palestinese mediante un’opera di convinzione nei confronti degli stessi governanti israeliani.

Da quando Washington ha ripreso l’iniziativa in Medio Oriente, si è vista una significativa evoluzione nella politica di Ariel Sharon.

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