Addio alle primarie Ora l’America copia l’elezione all’europea

Ci sono rivoluzioni che cominciano in silenzio. Questa per esempio: l’America comincia ad abbattere le primarie per prendersi i ballottaggi. Cioè abbandona un po’ se stessa per diventare un po’ più europea. Non è un dettaglio, ma uno sconvolgimento storico-politico, un precedente, un tentativo di scalfire la propria identità per assomigliare di più al resto del mondo. Perché l’America è il Paese che tutti cercano di imitare proprio sul sistema delle primarie e invece adesso probabilmente comincerà a rinunciarci. Succede che la California deciderà l’8 giugno in un referendum se cambiare il suo sistema di voto. Via le elezioni all’interno dei partiti per decidere chi sarà il proprio candidato contro il partito avversario, dentro un sistema ancora più semplice, ma pieno di insidie: tutti i candidati si presentano alle elezioni generali, anche più di uno per ciascun partito. I due che ottengono più voti vanno al secondo turno. E se fossero dello stesso schieramento? Fa niente. Così, paradossalmente, le primarie si svolgerebbero alla fine, perché cambierebbe il nome, ma il concetto sarebbe lo stesso: un confronto interno a un partito. È un’ipotesi possibile, ma ovviamente più improbabile di una decisione finale tra due candidati opposti.
Il referendum della California vale per le elezioni statali e per quelle dei rappresentanti del Golden State al Congresso di Washington, ma non è soltanto una consultazione locale. È un precedente e non uno qualunque: la California è lo Stato più popoloso d’America, non il più rilevante a livello politico, ma forte a livello mediatico. Qualunque cosa accada lì potrebbe prima o poi arrivare altrove. Non è però la prima volta di un’iniziativa così: già nel 1996 sempre la California aveva tentato una riforma che modificava, anzi di fatto cancellava, le primarie. La Corte Suprema annullò il provvedimento. Qualcosa di simile due anni fa è accaduto anche nello Stato di Washington. La California, però, è un’altra cosa. Passasse il sì all’abrogazione delle primarie potrebbe essere l’inizio di un percorso di cambiamento della procedura elettorale di tutto il Paese. La fine di un modello che ha funzionato meglio di altri. È dal 9 settembre 1842 che gli Stati Uniti lo usano per decidere chi sarà il candidato di ogni partito alle elezioni generali. L’esordio arrivò in Pennsylvania, tra i democratici. Oggi in un modo o nell’altro le primarie le usano tutti i cinquanta Stati americani e sono state esportate. Le abbiamo viste da noi? Le primarie del Partito democratico per scegliere Veltroni proprio segretario e candidato alla presidenza del Consiglio. Le abbiamo viste a livello regionale, come nel caso Vendola. I partiti tremano, ovviamente. Perché il referendum ha l’appoggio delle istituzioni a cominciare dal governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger, ma hanno contro i vertici dei due principali schieramenti. Per i partiti significa perdere potere, non poter gestire i propri candidati, non poter guidare le scelte dei propri elettori. Repubblicani e democratici fanno campagna contro, senza dirlo e senza farsi notare. Non conviene invitare al non voto o al no: in uno Stato con 19 miliardi di dollari di deficit e con livelli di disoccupazione altissimi, come fai a contrastare qualcosa che riduce i costi per il pubblico? Così tutti zitti, anche se i partiti pregano perché non passi.

E invece i sondaggi dicono che oggi la maggioranza dei californiani voterebbe sì. Le primarie funzionano, vengono imitate, celebrate, importate. Gli inventori se ne vogliono disfare. Di fronte all’idea di risparmiare anche un solo dollaro la storia perde comunque.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica