Addio a Cappuccilli, baritono ruspante che sapeva cantare l’anima di Verdi

Tra i suoi pezzi forti «Nabucco» e «Trovatore» ma anche Donizetti

Alberto Cantú

Generosa la voce, generoso l’artista anche nei bis, Piero Cappuccilli, scomparso ieri nella sua Trieste a 78 anni, era l’ultimo esemplare di baritono verdiano «ruspante», sanamente forzuto anche per la formidabile estensione. Artista che viveva l’agone teatrale come una bella scommessa, tanto da dire, mosca bianca tra i cantanti: «Io non ho mai avuto paura ad entrare in palcoscenico. In scena mi diverto».
In 35 anni e più di carriera, di teatri - dalla Scala a Salisburgo, dall’Europa agli Usa -, di arene estive e dischi importanti, Cappuccilli mantenne sempre quella schietta e rude veemenza, quella nettezza di pronuncia e di porgere, quell’accento e quel fraseggio ben martellati che identificano subito la voce verdiana.
Il suo cantare sanguigno, caro peraltro a un raffinato come von Karajan, faceva immancabilmente centro in grandi spazi come l’Arena di Verona, davvero congeniale a mezzi ed esuberanza d’eccezione. E fu proprio di ritorno a casa da una recita di Nabucco, grande cavallo di battaglia areniano, che avvenne l’incidente a bordo della Jaguar, a pochi chilometri dalla barriera milanese dell’autostrada Venezia-Milano, il quale fece temere per la sua vita. Era il 28 agosto 1992. Da quel giorno la voce del baritono impavido tacque.
Cappuccilli era uno di quei cantanti di nerbo e d’accento che, per citare Barilli, si possono paragonare ad un vino - «generoso» come quello di Cavalleria rusticana - il quale «fa bum nello stomaco». Baritono verdiano «naturale», dunque anziché «nobile» come sono nobili i vini pregiati. Cantante «di tradizione» e di sana retorica sino al rischio dell’eccesso e della ridondanza un po’ verista, come qualcuno osservò. Artista senza i tormenti filologici oggi di moda (l’acuto fuori ordinanza da restaurare, l’edizione critica da resuscitare), portato piuttosto a caricare voce e gesto, salvo rispondere alle sollecitazioni di direttori intelligenti: capaci di piegare l’iperbole alla giusta espressività.
Cappuccilli, dunque, tutto fuorché un cantante da «melodramma intellettualizzato per effetto del regista intellettualoide». Capace, pertanto, come fece, al Rigoletto del 47° Maggio Musicale Fiorentino, di sbattere la porta in faccia al regista Yuri Ljubimov che aveva messo in scena, fissi, i manichini di Hitler, Mussolini, Mao, Napoleone in cui, di volta in volta, un Rigoletto ovviamente senza gobba, si doveva trasformare.


Se faceva perno su Verdi (Simon Boccanegra e Un ballo in maschera anche con Claudio Abbado, Don Carlo, Nabucco, Il trovatore, Rigoletto e Macbeth), il repertorio di Cappuccilli includeva anche Bellini, Donizetti e i cosiddetti «veristi». Ad esempio il dittico per eccellenza Cavalleria-Pagliacci anche al Covent Garden di Londra nell’89 con la regia di Franco Zeffirelli.

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