Addio a Fischer-Dieskau, il baritono intellettuale

«A prima vista il Conte è un personaggio poco simpatico». Lo stesso giudizio che il baritono Dietrich Fischer-Dieskau dava di uno dei personaggi chiave delle Nozze di Figaro di Mozart, si poteva adattare al grande baritono tedesco, morto ieri all’età di 87 anni nella cittadina bavarese di Starnberg, in Germania. A prima vista le sue qualità di cantante «intellettuale», quasi supercilioso, distante nei riguardi dei colleghi come dei direttori d’orchestra e registi, anche celeberrimi, lo ponevano in una categoria assolutamente a sé stante. Poco amabile, come il personaggio mozartiano, ha lasciato un segno indelebile su qualunque testo si è soffermato (e la perfezione nello studio e l’ansia di conoscenza erano degne del Faust goethiano, di cui è stato, manco a dirlo, formidabile interprete sia delle Scene di Schumann che dell’opera di Ferruccio Busoni).
Soldato della Wehrmacht in Italia, per due anni prigioniero degli Americani, fece un debutto folgorante con la Winterreise di Schubert (Berlino, 1947), che gli valse l’appellativo di Meistersänger (Maestrocantore). Sempre nella città natale mosse il primo passo sul palcoscenico come Marchese di Posa nel Don Carlo di Verdi, sotto l’egida musicale di un ineguagliato direttore, l’ungherese Ferenc Fricsay. In teatro il grande baritono è stato un creatore di personaggi impareggiabile, tanto indissolubile l’identificazione fra il cantante e l’attore, si trattasse di Mozart o Wagner, di Richard Strauss o Alban Berg, sostenendo le opere contemporanee, come quelle di Hans W. Henze o il War Requiem, appositamente scritto per la sua duttilità da Benjamin Britten. Parimenti unico nella sua categoria, il Maestro cantore, è stato con eguale aderenza sia nel melodramma che nel lieder (capolavoro l’integrale di Schubert con il pianista Gerald Moore), non lasciando traccia nei due generi della differenza che li contraddistingue.
Accanto alla sua carriera propriamente detta, Fischer-Dieskau ha coltivato la scrittura (altra unicità nella categoria), dando prova di capacità critiche e conoscenza della materia e anche di un certo «tratto». Parlando, per esempio, del lied tedesco, di cui è stato interprete di riferimento per quantità e qualità esecutive, il Fischer-Dieskau esegeta non parla mai di se stesso, come capita invece a quasi tutti i suoi colleghi che iniziano e concludono sempre in prima persona. Nel rispetto quasi microscopico della volontà degli autori eseguiti, Fischer-Dieskau ci ha lasciato un segno tangibile della sua ammirazione anche per il repertorio italiano, esempio raro in un artista di scuola tedesca. Interesse non solo ai celebrati ruoli verdiani: Posa, Jago, Rigoletto, Falstaff, ma anche, per esempio, alla Lucia di Lammermoor, eseguita con un’aderenza e una potenza drammatica mai riscontrate in baritoni madrelingua. Tutto questo non è detto a caso.

Per dar l’addio alla carriera, Dietrich Fischer-Dieskau scelse la fuga finale del Falstaff, «Tutto nel mondo è burla». L’ironia rassegnata del Vegliardo Verdi è la giusta conclusione di una carriera che si può riassumere in una parola: miracolo.

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