Maurizio Cabona
Vincitore di due palme d'oro, Shoshei Imamura ha atteso la fine del 59° Festival di Cannes per morire, a settantanove anni, nella natia Tokio. Diceva che gli piaceva «la parte bassa dei corpi e la parte bassa delle società». Infatti era nato in quella alta. Figlio di un medico, istruito nelle migliori scuole del Giappone prebellico, aveva esordito nel dopoguerra nel cinema all'ombra di Yasujiro Ozu, Masaki Kobayashi e Yuzo Kawashima, senza subirne influenze dirette. Come regista aveva debuttato con Desiderio rubato e poi Desiderio inappagato (entrambi del 1958) seguiti da una decina di film in un decennio. Negli anni Ottanta, inaspettatamente, ormai, a Imamura aveva arriso la notorietà internazionale col Gran Premio del Festival di Strasburgo del 1981 per La vendetta è mia (1979); nel 1983 aveva vinto la palma d'oro a Cannes con La ballata di Narayama. Il film raccontava di una vecchia portata a morire sul monte Narayama, secondo l'uso che prevede l'eliminazione di chi ormai è superfluo. All'epoca l'intuizione parve eccessiva, ma il senno di poi ne avrebbe rivelato l'acume.
Nonostante il successo, Imamura continuava a trovare scarsi appoggi fra i produttori. Avrebbe dunque partecipato ancora al Festival di Cannes solo anni dopo, con Zeghen - Il mezzano (1987), e poi con Pioggia nera (1989), sulle conseguenze del bombardamento atomico di Nagasaki. Nel 1997, con L'anguilla, Imamura s'era poi aggiudicato la seconda Palma, ex aequo con Il sapore della ciliegia di Kiarostami. Nel 1998 era a Cannes con Dr. Akagi, coproduzione francese interpretata anche da Jacques Gamblin, ancora un film che aveva come sfondo la guerra del Giappone e la bomba su Nagasaki.
Nel 2000 Imamura aveva realizzato un altro film incline al grottesco, Acqua tiepida sotto un ponte rosso, presentato a Cannes.
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